Di S. Luigi Deh! che fai, meschino cor mio. non t'accorgi, che il tuo buon Signore con potenti catene d'amore, ti costringe qui seco a restar? Dove andrai, dove o anima mia, come mai d'amor sì ferita, dipartirti potrai dalla vita, che all'altare per te se ne sta? Ma, mio Dio, che tratto è mai questo? tu mi annodi con tante catene; poi mi forzi, diletto mio bene, duramente a partire da te. Vuoi, ch'io parta? sì voglio ubbidirti; ma pur teco qui resta il mio core: tu lo serba fedele al tuo amore, e se io parto, tu vieni con me. Ma, ahimè! che non puote quest'alma te lasciare, mio ben, mio tesoro, vado .... torno, m' affliggo, m' accoro, né patire, né stare qui so. Quinci, e quindi m' inchino ondeggiante, son tra due sospeso, e diviso, agitato, sbattuto, e conquiso, sono fatto bersaglio d'amor. Che conflitto! che fiera tempesta! l' ubbidienza mi spinge di là; l'amor tuo mi ferma, e mi arresta, mi rapisce, mi tira di qua. Mentre il mare ne mormora, e freme, così nave tra l' onde agitata, a sinistra, ed a destra tirata risospinta, sospinta ne va. Sospirando, piangendo, gemendo, ti scongiuro, da tanto martire, deh! mi trai col farmi morire, amoroso, pietoso Gesù. Così sempre nel regno d'amore, sarò teco, mio bene infinito, stretto, avvinto, legato, ed unito, per non mai staccarmene più. Sulle parole: Recede a me Domine dello stesso P. Caione