Il sacerdote secondo S.Alfonso

Gesù è morto per fare un sacerdote!

Il 21 dicembre 1726 sant’Alfonso fu ordinato sacerdote nel Duomo di Napoli all’altare maggiore.
Nel mese di ottobre 1732, prima di abbandonare Napoli, tenne un Corso di esercizi spirituali al Clero nella Basilica di S. Restituta. In quella occasione il card. Pignatelli, che fu presente alla predicazione di don Alfonso, esclamò: “Si vede che è vaso di elezione e che lo Spirito Santo parla con esso“.
Molte altre volte ha tenuto Corsi di esercizi spirituali ai seminaristi, al clero, alle claustrali, ai militari ed al popolo. Ha scritto molto sul sacerdozio e per i sacerdoti.
Indimenticabili sono i suoi propositi personali decisi nel giorno della sua Ordinazione sacerdotale.
Tenendo presente il suo insegnamento, con le sue stesse parole vorrei fermare la nostra attenzione sull’identità sacerdotale così bene delineata negli scritti del santo.

S. Alfonso, modello dei sacerdoti, appare nel 1818 al Beato Gaetano Errico (1791-1860) che ogni anno, da sacerdote, si ritira a Pagani (Salerno), nella casa dei Padri Redentoristi, per gli esercizi spirituali. (Dipinto nel Santuario dell'Addolorata a Secondigliano-NA).

 Il sacerdote è l’uomo tutto di Dio
È convinzione di sant’Alfonso che Dio non poteva fare il sacerdote più grande nel mondo di quel che l’ha fatto. Perciò il sacerdote dal giorno che è stato ordinato non è più suo ma di Dio (1). A livello di scelta personale il Santo propone che Dio debba essere sempre il Signore del cuore e l’unica ricchezza del sacerdote. Più concretamente scrive: “il sacerdote non è posto per attendere alle cose del mondo ma solamente alle cose di Dio”(2).
L’indicazione fondamentale che sant’Alfonso offre al sacerdote per essere tutto di Dio è l`amore”.
“Per essere tutti di Dio, bisogna che diamo a Dio l’amore nostro intero, non diviso. Non può essere tutto di Dio, chi ama qualche cosa che non è Dio o non l’ama per Dio.” (3)
Un sacerdote senza amore si può chiamare sacerdote ma non esserlo. Il motivo di questo amore è posto nel fatto che “per fare un sacerdote, è stata necessaria la morte di Gesù Cristo. Gesù è morto per fare un Sacerdote” (4).
Alla domanda: Cosa deve fare il sacerdote per essere tutto di Dio? Sant’Alfonso dà quattro risposte:

  • ‑ deve avere un grande desiderio della santità;
  • ‑ deve fare tutto solo per dar gusto a Dio;
  • ‑ deve essere pronto a soffrire con pace tutto per Dio;
  • ‑ deve volere ciò che vuole Dio.

 Un grande desiderio della santità
“Per farsi santo, Egli scrive, non basta un semplice desiderio, ma vi bisogna un desiderio grande, una certa fame della santità. Chi ha questa beata fame, non cammina, ma corre per la via della virtù…
Chi dunque si farà santo? Chi vuol farsi santo! A chi poco amala santità, la via è stretta e perciò molto fatica nel camminare per quella; ma chi molto amala santità, la via è larga e vi cammina senza fatica. La larghezza dunque della via non sta nella via, ma nel cuore, cioè nella volontà di dar gusto a Dio.
Il farsi santo non è difficile a chi lo vuole”.
Confidenzialmente suggerisce ad ogni sacerdote: “Chi non ha questo desiderio di farsi santo, almeno lo domandi a Dio e Dio glielo darà” (5).

 Dar gusto a Dio
“Tutte le sue parole, i suoi pensieri, i desideri e tutte le azioni (del sacerdote) devono essere un esercizio d’amore verso Dio…
La Sposa dei Cantici or si faceva cacciatrice, or guerriera, or vignaiuola, ed ortolana; ma sotto questi diversi esercizi sempre faceva la stessa figura d’amante perché tutto facea per amor del suo Sposo.
Così anche il sacerdote quanto dice, quanto pensa, quanto soffre e quanto fa: o celebra, o confessa, o predica, o fa orazione, o assiste a’ moribondi, o si mortifica, o fa altra azione, tutto deve essere uno stesso amore, perché tutto deve farlo per piacere a Dio”.
Commentando Mt 7,22 scrive: “quanti sacerdoti nel giorno del giudizio diranno a Gesù Cristo: Signore, noi abbiamo fatte prediche, celebrate messe, intese confessioni, convertite anime, assistito a’ moribondi.
E il Signore risponderà: andate via, io non vi ho mai conosciuto per miei ministri, perché non avete faticato per me, ma per la vostra gloria o interesse ” (6).

 Deve soffrire con pace
“Gesù Cristo vuole essere da noi portato con pace e allegrezza: chi lo porta con tedio o con lamenti, non lo porta malo trascina per forza.
Nella pazienza dobbiamo farci conoscere per veri ministri di Gesù Cristo.
Molti dotti sanno molte cose, ma poi non sanno sopportare niente per Dio e quel che è peggio non sanno neppure conoscere il gran difetto della loro impazienza. A che serve la scienza a chi non ha la carità?” (7). 

Deve volere ciò che vuole Dio
Tutto il nostro bene sta nell’unirci alla volontà di Dio. Sant’Alfonso preferisce il termine “uniformità” e ne dà la ragione: “procuriamo non solo di conformarci alla sua divina volontà, ma uniformarci a quanto Dio dispone. La conformità importa che noi congiungiamola nostra volontà alla volontà di Dio; ma l’uniformità importa di più che noi della volontà divina e della nostra ne facciamo una sola sì che non vogliamo altro se non quello che vuole Dio, e la sola volontà di Dio sia la nostra (8). 

Il sacerdote è l’uomo della preghiera
Sant’Alfonso è il Dottore della preghiera. Egli in una delle sue espressioni lapidarie scrive: “Non saprà mai vivere bene chi non saprà ben pregare ” (9).
Egli scorge un grande legame tra la preghiera e la santità: Chi più s’avanza nell’orazione, più si avanza nella perfezione… Chi lascia l’orazione lascerà di amare Gesù Cristo”1°. Per sant’Alfonso nella preghiera Dio stesso è il maestro della santità: “Nelle missioni o negli esercizi spirituali chi predica e parla non è altro che un uomo… Nell’orazione mentale quegli che parla all’anima è Dio medesimo” (11).
Il Santo considera la preghiera come un “parlare a tu per tu con Dio, trattare d’amicizia con Dio”. Egli scrive: “il Paradiso di Dio è il cuore dell’uomo… Non lasciate di ritirarvi spesso nella cella del vostro cuore ad unirvi con Dio… Non vi scordare della sua dolce presenza… parlategli quanto più spesso potete. Se l’amate, non vi mancherà che dirgli… Fate al mattino un patto con il Signore”  (12).
Quando parla della preghiera sant’Alfonso intende prioritariamente la meditazione: “Chi non fa orazione mentale… poco conoscerà la stessa necessità della preghiera”, e prosegue: “Non basta pregare colla sola voce, ma bisogna pregare collo spirito… Alcuni fanno molte orazioni vocali, ma queste, da chi non fa orazione mentale difficilmente si fanno con attenzione” (13).
Sant’Alfonso poi era persuaso che “un sacerdote senz’orazione è difficile che si salvi, impossibile che giunga alla perfezione, perché, tolta l’orazione, s’abbrevia la messa, si precipita l’officio, si predica d’altra maniera” (14).

Il Santo ricorda che l’orazione mentale non è un esercizio riservato ai Solitari ma anche agli Operai e scrive: “1 Santi Apostoli sono stati certamente i maggiori operai del mondo, ma vedendosi impediti a fare l’orazione costituirono i Diaconi per dedicarsi alla preghiera e al ministero della parola: prima la preghiera e poi la predicazione santa perché senza l’orazione non riesce niente”‘ (15).
Ai sacerdoti ordinava di dedicare molto tempo all’orazione: “Se vogliamo farci santi e santi operai è necessario che attendiamo all’orazione ma assai, non un quarto d’ora, né mezz’ora, assai, assai…” (16). Difficilmente assentiva alle scuse ed amava ripetere il detto di Seneca: “abbiamo poco tempo perché molto ne perdiamo” (17).
Tra lo studio e l’orazione egli sceglie la scienza dei santi: “Tanti studi… tante erudizioni, tante lingue, tante scienze diverse, sono buone sissignore, chi lo nega, possono servire, ma meglio ‑sarebbe prima lo studio della S. Scrittura, dei canoni, della dogmatica per trovarsi pronto… ma soprattutto ci è necessaria la bella scienza de’ Santi, la scienza di amare Dio, che non si studia sui libri nò, si studia avanti al Crocifisso, avanti al SS. Sacramento” (18).
Tutti conosciamo la sua affermazione: “Io per questa divozione di visitare il sacramento, benché praticata da me con tanta freddezza ed imperfezione, mi trovo fuori del mondo” (19).

Tra l’azione e la preghiera sant’Alfonso preferisce una operosità infiammata da santa carità: ‘L’orazione infiamma i cuori dei santi operai. Chi più ama Dio più lo conosce… Non si nega essere utile anzi necessario lo studio a’ sacerdoti; ma il più necessario è lo studio del Crocifisso… Farà più profitto una parola d’un operaio infiammato di santa carità che cento prediche fabbricate da un Teologo che poco ama Dio. Senza l’orazione poco servono le prediche. Se non siamo santi, come possiamo far santi gli altri? S’inganna chi pretende senza l’aiuto dell’orazione di ben condurre a fine il negozio della salute delle Anime: negozio quanto eccellente, altrettanto pericoloso”(20).  

S. Alfonso è stato sempre attento "ai segni dei tempi" che per lui si concretizzavano negli abbandonati: i lazzari delle vie di Napoli, i procuoi delle montagne di Scala, i "senza speranza" della società del settecento che venivano emarginati per la loro condizione di ignoranza e di povertà. (Disegno da un opuscolo biografico in lingua spagnola-AGR).

Il sacerdote è l’uomo attento ai segni dei tempi
Sant’Alfonso non ebbe vita breve. Né il lavoro né la malattia gli tolsero subito la vita o lo posero in pensione anzitempo. Egli è uno di quegli uomini saggi che nella sua prolungata esperienza pastorale si è fortemente impegnato a conservare e trasmettere autentica e operosa la fede che professa. La sua opera teologica ascetica e morale è attenta alla problematica del suo tempo. Restano ancora valide le scelte pastorali essenziali e la chiara conoscenza delle idee propagate dal materialismo ateo, deismo, illuminismo, giansenismo, regalismo, nel ‘700 italiano ed europeo da lui indagate con estrema vigilanza. Un brano dell’operetta Verità della fede ci fa comprendere come il suo scrivere era fortemente stimolato: “per tanto in questi ultimi tempi è uscita fuori una moltitudine di libri pestiferi ripieni di empietà; ma l’uno è difforme dall’altro”. Degli autori egli scrive: “Eglino si han preso la libertà di pensare; e da questa son passati alla libertà di dubitare delle verità della fede che loro sembrano non conformi alla ragione” (21)
Sant’Alfonso non usa l’espressione “attento ai segni dei tempi” ma parla dello “zelo del sacerdote” e scrive: “È pieno il Mondo di Sacerdoti, ma pochi sono quelli che attendono ad essere Sacerdoti” (22).
Riferendosi ad una affermazione di G. Crisostomo scrive: “Ogni Sacerdote è come fosse il padre di tutto il mondo, e perciò deve avere cura di tutte l’anime, che può aiutare a salvarsi colle sue fatiche” (23).
Lo zelo, o con termini attuali la carità pastorale, ci spinge ad essere vigilanti ed educatori della fede del popolo cristiano. Sant’Alfonso coinvolge tutti nel servizio pastorale e scrive: “Né serve dire: lo son semplice sacerdote, non ho cura d’anime; basta che attenda solo a me stesso. No, ogni sacerdote è tenuto ad attendere nel modo che può alla salute dell’anime, secondo la loro necessità. No, che non bastano i Vescovi, e i Parroci al bisogno spirituale dei popoli. 

Se Dio non avesse deputati anche altri Sacerdoti ad aiutare l’anime, non avrebbe provveduto abbastanza alla sua Chiesa”. Non manca poi l’appello alla responsabilità: “Io non so come possa esser scusato da colpa un Sacerdote, che vedendo il grave bisogno dell’anime del suo paese, e potendole aiutare con insegnar loro le verità della fede, o col predicare la divina parola, ed anche col sentire le loro confessioni, per sua pigrizia trascura di farlo” (24).
Quando sant’Alfonso parla del “fine del sacerdote” scrive: “Quali sono questi fini per cui fu costituito il sacerdozio? Solamente forse per dire la messa, e l’Officio, e poi vivere secondo la vita dei secolari? No, il fine di Dio è stato di stabilire sulla terra persone pubbliche, che trattino le cose di onore di sua divina maestà, e procurino la salute delle anime… Gesù Cristo ha formato i sacerdoti, come suoi cooperatori a procurare l’onore dell’eterno suo Padre e la salute delle anime… Sicché i sacerdoti sono posti al mondo a far conoscere Dio, e le sue perfezioni, la sua giustizia, la sua misericordia, i suoi precetti; ed a procurargli il rispetto, l’ubbidienza, l’amore dovuto: sono fatti a cercar le pecorelle perdute, e dar la vita per esse, quando bisogna”.
E conclude: “Il sacerdote dunque non è posto per attendere alle cose del mondo, ma solamente agli affari di Dio” (25).
I raduni di piazza, e poi le Cappelle serotine sono la testimonianza più concreta dell’attenzione di sant’Alfonso alle condizioni sub‑umane e subcristiane della gente più vile e d’infimo mestiere dei quartieri di Napoli che il Tannoia connota come “la feccia del popolo”.
Sant’Alfonso riuscì a trasformare i lazzaroni in cristiani convinti e santi (26).

 Il sacerdote è ministro della Parola
Sant’Alfonso credeva fermamente alla necessità primaria della predicazione: “Se tutti i predicatori e confessori facessero il loro ufficio come si deve, tutto il mondo sarebbe santo” (27). Per lui non c’è vita cristiana, santità, degna celebrazione dei sacramenti se prima non c’è evangelizzazione. Ai suoi missionari diceva: “L’amore di Gesù Cristo ci mette con le spalle al muro per amarlo e farlo amare dagli altri”(28). Egli propone un’evangelizzazione con amore per produrre amore nel popolo cristiano. Perciò affermava: “dobbiamo predicare Gesù Cristo e non noi stessi… Il predicatore bisogna che predichi più colle ginocchia che con le parole, che sia amante dell’orazione da cui prenda i sentimenti che poi deve comunicare agli altri”.
Il santo missionario era convinto che la fede si è propagata per mezzo della predicazione e che per mezzo di essa il Signore vuole che si conservi. Le sue riflessioni più insistenti riguardano il modo di annunciarela Paroladi Dio: “Per salvare le anime non basta predicare, bisogna predicare come si deve. Le sole parole parlano all’orecchie e non entrano nel cuore; solamente chi parla al cuore, cioè chi sente e pratica quel che dice questi parlerà al cuore degli altri e li muoverà ad amare Dio”.

Queste espressioni aiutano a comprendere lo stile del più celebre missionario napoletano, inclinato più a conversare e convincere che a terrorizzare. I suggerimenti per una buona predicazione non mancano: “in primo luogo è necessaria la dottrina e lo studio. In secondo luogo è necessaria la buona vita. Sono disprezzate le prediche di quel predicatore del quale è disprezzata la vita. Per terzo è necessario predicare non per interesse ma per la gloria di Dio”. Particolare attenzione sant’Alfonso dedica ai destinatari della sua predicazione. Egli fece una scelta fondamentale per i più abbandonati che scorse prima nelle zone più povere della nostra città e poi nelle campagne del regno di Napoli. Ad essi adattò la vita, la cultura, la sua fede ed il suo sacerdozio. Nella sua operetta Selva di materie predicabili ed istruttive, scritta nel 1760 scrive: “Bisogna predicare secondo le capacità della gente che ascolta” ed insiste di parlare “alla semplice e popolare e non solo nelle Missioni e negli Esercizi Spirituali ma in tutte le prediche che si fanno al popolo” (29). Nelle opere di sant’Alfonso e in tutta la predicazione c’è un ritorno continuo al tema dell’amore. Tutta la vita cristiana è tutta fondata sull’amore e non sulla paura: “Dio ci ama e ci ama assai (30). L’amare Gesù Cristo è l’opera più grande che possiamo fare in questa terra” (31). Il Santo non esita a dire che “le conversioni fatte per il solo timore dei castighi sono di poca durata” (32).
Ai confessori ricordava che “se il peccatore non si vede amato non si risolve a lasciare il peccato” (33). 

Per S. Alfonso il sacramento della riconciliazione è la celebrazione della Redenzione di Gesù, opera essenzialmente d'amore. Il confessore deve educare all'amore il penitente.

Il sacerdote è ministro della riconciliazione
Nella sua giovane età sant’Alfonso fece a Dio sacrificio della sua famiglia, della sua professione forense e della sua città per consacrarsi a Gesù Redentore ed annunciare un messaggio di liberazione.
Per il Santola Redenzione è soprattutto un’opera d’amore che libera la persona da ogni schiavitù.
Tutto è ispirato a questa convinzione di fondo.
Nella Pratica del confessore egli scrive che il confessore deve essere: “ricco di carità, mansueto e dolce, fortemente prudente” (n. 1). Tra i compiti del confessore pone in primo luogo quello di padre, poi quello di medico e dottore ed in fine quello di giudice. E scrive: “Per adempiere la parte di buon padre il confessore deve essere pieno di carità nell’accogliere il penitente, nell’ascoltarlo, nel fargli prendere coscienza della gravità del peccato; come medico il confessore deve preoccuparsi di guarire, come dottore deve rendersi conto ed illuminare; come giudice deve porsi in sintonia con la coscienza del penitente ed aiutarlo nella confessione dei suoi peccati per ottenere il perdono” (34).

È chiaro che il confessore per essere servo e non padrone del perdono deve essere riconciliato con Gesù Redentore. Nella sua Teologia morale sant’Alfonso sintetizza l’opera essenziale del confessore nell’impegno di carità. Egli per primo non è stato un funzionario al servizio delle leggi ma un pescatore di uomini: ha parlato ai credenti toccando l’intimo della coscienza cercando di condurli a Cristo e non a una legge.
Per lui la legge globale è quella dell’amore. Come la predicazione anche la riconciliazione nasce dall’amore e deve produrre amore.
Il sacramento della riconciliazione è la celebrazione della Redenzione di Gesù, opera essenzialmente d’amore.
Il confessore deve educare all’amore il penitente. Prima di sant’Alfonso si diceva che il laico poteva contentarsi e limitarsi alla sola osservanza dei comandamenti, quanto bastava per non andare all’inferno, e salvarsi l’anima. Sant’Alfonso combatte la mediocrità assunta come progetto di vita: non c’è pace nell’animo umano se manca la decisione per la santità. Egli mostra molta comprensione verso la debolezza umana, ma non scende a patti con la persona oziosa e tiepida. Nei suoi scritti non accentua ciò che è proibito ma ciò che fa progredire e crescere. Si spiega così l’insistenza sulla pratica di amare Gesù Cristo, la preghiera e la perseveranza.

Nel libro dell’Apparecchio alla morte il Santo affronta il tema della conversione e della decisione personale. Egli è convinto che la conversione è un’opera difficile ma che rende prezioso il tempo e felice la vita. La conversione è la via alla santità. Essa c’impegna ad “abbandonare ogni resistenza”, a “spendere tutto il tempo per servire ed amare Dio”, a “consumarsi per Gesù Cristo”, a “ritornare umilmente a Dio per obbedirgli fino alla morte”. Prima di tutto però il Santo chiede di convertirsi a Dio per amore perché “chi si converte per via d’amore di Gesù Cristo Crocifisso, la conversione è più forte e durevole…” (35): chi evita il peccato solamente per paura dell’inferno non è buon cristiano e non sarà mai santo.
Per convertirsi è necessario decidersi. E la decisione è opera del cuore, apre il cuore al fervore, spinge l’anima alla speranza e alla fiducia, richiede umiltà e sprona ad essere generosi.
Ai confessori chiede perciò un maggiore coinvolgimento nell’opera della Redenzione e la preghiera, perché “chi non è persona di preghiera non potrà avere quella bontà non ordinaria per ben esercitare quest’ufficio formidabile” (36).  

S. Alfonso afferma: "Non c'è dubbio che la santa Eucaristia è istituita per tutti i fedeli, ma essa è un dono fatto specialmente ai sacerdoti... Gesù è morto per fare un sacerdote".

Il sacerdote è ministro dell’Eucaristia
Tra gli amori che hanno pazzescamente appassionato sant’Alfonso occupa un posto privilegiato l’Eucaristia. L’attrattiva verso Gesù Sacramentato era così forte da poter indurre la convinzione che Gesù parlava a sant’Alfonso impegnandolo in appuntamenti assidui e giornalieri. Un sondaggio sulle chiese ed oratori visitati dal Santo e sul tempo dedicato all’adorazione personale del SS. Sacramento offrirebbero risultati sorprendenti e, direi, favolosi. Non è un azzardo affermare che tutto il magistero spirituale alfonsiano trova nella preghiera eucaristica la sua fonte più ricca ed originale.
“Io vi credo presente nel Sacramento dell’altare”.
È l’espressione chiave di tutto ciò che sant’Alfonso ha scritto e detto dell’Eucaristia e del sacerdozio. Egli dice: “Che importa che non possiamo noi arrivare a comprendere come ciò avvenga?… Ciò noi dobbiamo crederlo perché Dio è onnipotente” (37). Egli è convinto che il coinvolgimento reale al mistero eucaristico avviene nella fede e nella preghiera. La vicinanza più percepita da sant’Alfonso è quella di Gesù Sacramentato: Gesù è il prossimo più immediato, che egli ama considerare il suo vicino di stanza, il suo coinquilino, il suo dirimpettaio, uno che doveva essere al centro della sua vita e delle sue decisioni: “Quale gaudio dovremmo noi uomini sentire, quali speranze e quali affetti sapendo che in mezzo alle nostre patrie, nelle nostre Chiese, vicino alle nostre case abita e vive nel SS. Sacramento dell’altare il Santo dei santi, il vero Dio, quello che con la sua presenza fa beati i Santi del Paradiso” (38).
La speciale confidenza verso Gesù Eucaristia fu il massimo frutto di un corso di Esercizi spirituali del 23.3.1722: “Giornaliermente si diede a visitarlo esposto alla venerazione delle Quarantore in qualunque Chiesa vicina o lontana” (39). 

Un’altra affermazione forte di sant’Alfonso è: “Non c’è dubbio che la santa Eucaristia è istituita per tutti i fedeli, ma essa è un dono fatto specialmente ai sacerdoti“. Infatti, egli dice, la potestà sul corpo reale di Gesù Cristo che resta tutto a disposizione del sacerdote è l’effetto primario della S. Ordinazione. Ed aggiunge: “Tutta la Chiesa senza i sacerdoti non può dare a Dio tanto onore quanto un sacerdote che celebra la Messa… Conla S. Messa si onora Dio quanto merita di essere onorato; poiché gli si rinnova lo stesso infinito onore che gli diede Gesù Cristo sacrificandogli se medesimo sulla croce. Una sola Messa dà più onore a Dio, che non gli hanno dato, e non gli daranno tutte le orazioni e penitenze dei santi, tutte le fatiche degli apostoli, e tutti gli ardori dei serafini e della divina Madre” (40).

La professata identità eucaristica del sacerdozio spinge sant’Alfonso a chiedere ai sacerdoti la conversione del cuore ed un impegno continuo. Nel Regolamento di vita di un Sacerdote secolare ardì scrivere: “Bisogna dire che troppa mala fortuna incontra Gesù Cristo coi Sacerdoti. Tutto nasce dal poco amore. È una compassione veder lo strapazzo che fanno di Gesù Cristo molti preti e religiosi… Come dicono taluni la Messa? come stesse per cadere la Chiesa e non ci fosse tempo per fuggire”.
La celebrazione della Messa costituisce l’azione per eccellenza per sant’Alfonso ove ogni servizio ecclesiale riceve la sua propria efficacia. Egli ne ricorda la priorità assoluta su ogni altra opera profana e sacra: “Dio stesso non può fare che vi sia nel mondo un’azione più grande, che del celebrarsi una messa. La Messa è l’opera in cui consiste tutta la salute del mondo… è il compendio di tutto l’amore divino… Per la S. Messa viene conservata la terra. La Messa è il grazie di tutte le cose e di tutti gli uomini”. 

Al Santo non costa molto ricordare ai sacerdoti: la santità della vita ed altre disposizioni necessarie: “Bisogna che tutte le azioni e le parole del sacerdote che vuol dire la messa, siano così sante che possano essere disposizioni per ben celebrare”; l’apparecchio prossimo e remoto: “La vita del sacerdote non dovrebbe essere altro che Apparecchio e Ringraziamento alla messa… L’apparecchio alla Messa remoto è la vita pura e virtuosa… Per l’Apparecchio prossimo è necessario primariamente l’orazione mentale. Che Messa divota vuol dire quel sacerdote che celebra senza aver fatta la meditazione?”; la riverenza: “il poco conto che fanno i sacerdoti della riverenza dovuta alla messa è la causa che si vedono tanti sacerdoti e tanto pochi sacerdoti santi… dov’è il frutto di tante celebrazioni e di tante comunioni?” (41).
L’ardente zelo pastorale spinge sant’Alfonso a stigmatizzare la fretta, lo strapazzo delle cerimonie, le parole mutilate, le genuflessioni a mezz’aria, l’ignoranza delle rubriche, che insieme a tanti altri gesti ed omissioni rendono “la Messa non altro, dal principio sino alla fine, che un affastellamento di disordini e d’irriverenze”. Egli non ha paura di affermare: “offenderebbe Dio quel sacerdote che non credesse al sacramento dell’Eucaristia; ma più l’offende chi lo crede, e non gli usa il dovuto rispetto e nello stesso tempo fa che glielo perdano anche gli altri. I secolari, vedendo trattarsi la Messa dai sacerdoti con tanto strapazzo e negligenze ne perdono quasi il concetto e la venerazione e anche… la fede” (42).

Proseguendo il discorso in positivo sant’Alfonso afferma: “affin di ricavare profitto dalla messa son necessarie due cose: desiderio d’avanzarsi nel divin amore e distacco dagli affetti terreni… Ogni sacerdote non dovrebbe partirsi dall’altare se non infiammato di nuovo fervore” (43)… Il Ringraziamento perciò è necessario e non deve terminare che colla giornata.
Egli ricorda inoltre che “Per mezzo della santa Messa viene santificato in modo speciale il sacerdote” (44). Perciò fraternamente ma con forza esorta: ‘tratteniamoci con Gesù Cristo… Gesù Cristo è tutto de’ sacerdoti; ma quanti sacerdoti poi sono tutti di Gesù Cristo?” (45). E ad ogni sacerdote ricorda: “quante scelte ha dovuto fare Dio per farvi sacerdote!” (46).

La devozione a Maria
Concludo con un riferimento doveroso e tanto necessario per essere fedele all’insegnamento di sant’Alfonso.
Tutti sappiamo che questo santo “si distinse mirabilmente nella devozione verso Maria e la Madonna esaltò in modo singolare la missione di lui e concorse al felice compimento delle sue opere” (47). Perciò egli scrive: “Senza la devozione verso Maria è moralmente impossibile che un sacerdote sia un buon Sacerdote I sacerdoti hanno la morale necessità dell’intercessione di Maria. Se tutti debbono essere divoti della Madre di Dio, per questa morale necessità che tutti hanno dell’intercessione di Maria, molto più debbono essere divoti i Sacerdoti, che hanno maggiori obblighi, han bisogno di grazie maggiori per salvarsi. Noi sacerdoti dovremmo stare sempre ai piedi di Maria e pregarla che ci soccorra” (48).
Ai sacerdoti chiedeva insistentemente di predicare le lodi di Maria e la confidenza nella sua intercessione. Per essi soprattutto scrisse Le Glorie di Maria (49).

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NOTE

  • 1. Sant’Alfonso M. de Liguori, Apparecchio e Ringraziamento per i sacerdoti nel celebrare la Messa, Ed. Marietti 1845, vol. III, p. 813.
  • 2.  Sant’Alfonso M. de Liguori, Selva di materia predicabili ed istruttive, Ed. Marietti, 1845, p. 16.
  • 3 ‘Selva…, pp. 167‑170.
  • 4 Selva…, p. 8.
  • 5 Selva…, pp. 171‑172.
  • 6 Selva…, pp.172‑173.
  • 7 Selva…, pp. 174‑175.
  • 8 Sant’Alfonso M. de Liguori, Uniformità alla volontà di Dio, Ed. Marietti, 1845, vol. 1, p. 485.
  • 9 Sant’Alfonso M. de Liguori, Del gran mezzo della preghiera, Ed. Storia e Letteratura, Roma 1962, p. 20.
  • 10 Sant’Alfonso Maria de Liguori, La pratica di amare Gesù Cristo, Ed. Paoline, 1986, p. 104.
  • 11 Sant’Alfonso M. de Liguori, La vera Sposa di Gesù Cristo, Ed. Roma, 1935, vol. 11, pp. 91‑92.
  • 12 Sant’Alfonso M. de Liguori, Modo di conversare alla familiare con Dio, Ed. Marietti 1845, vol. 1, pp. 472, 474, 479.
  • 13 Selva…, p. 127.
  • 14 Necessità dell’orazione…, p. 209.
  • 15 Selva…, p. 130.
  • 16 Necessità dell’orazione…, p. 217.
  • 17 Selva…, p. 130.
  • 18 Necessità dell’orazione…, p. 219.
  • 19 Sant’Alfonso M. de Liguori, Visite al SS. Sacramento e a Maria SS. ma, Valsele Tipografica, Napoli 1987, introduzione, p. 43. ,
  • 20 Selva…, pp. 130‑131.
  • 21 Sant’Alfonso M. de Liguori, Verità della fede, Ed Marietti, 1845, p. 537.
  • 22 Selva…, p. 64.
  • 23 ‘Selva…, p. 66.
  • 24 Selva…, p. 66‑67.
  • 24 Selva…, p. 67.
  • 25 Cf Tannoia A., Della Vita ed Istituto del Venerabile Servo di Dio Alfonso M. de Liguori, Napoli 1798, Lib. I, pp. 38‑50.
  • 26 Selva…, p. 114.
  • 27 Tannoia A., Della vita…, Lib. II, p. 304.
  • 28 Selva…, p. 115.
  • 29 Sant’Alfonso M. de Liguori, Dell’amore di Dio e dei mezzi per acquistarlo, Ed. Marietti 1845, p. 464.
  • 30 Lettere di sant’Alfonso M. de Liguori, Roma 1890, vol. 11, p. 286.
  • 31 Selva…, appendice, p. 288.
  • 32 Tannoia A., Della vita…, p. 39.
  • 33 Sant’Alfonso M. de Liguori, La pratica del confessore, Frigento 1987, pp. 1‑32.
  • 34 Sant’Alfonso M. de Liguori, Apparecchio alla morte, Ed. Storia e Letteratura, 1965, p. XII, nota 3.
  • 35 Cfr La pratica del Confessore, p. 2.
  • 36 Sant’Alfonso M. de Liguori, Opera dogmatica, Marietti 1845, vol II, XIII, n. 7.
  • 37 Visita al SS. Sacramento, XXVI.
  • 39 Tannoia A., Della vita…, p. 19.
  • 40 Selva…, p. 7.
  • 41 Apparecchio e Ringraziamento…, p. 808.
  • 42 Selva…, pp. 91‑94.
  • 43 Sant’Alfonso M. de Liguori, La Messa e l’Officio strapazzati, Ed. Marietti 1845, pp. 836‑844.
  • 44 Apparecchio e Ringraziamento…, p. 812.
  • 45 Selva…, p. 97.
  • 46 Apparecchio e Ringraziamento…, p. 820‑821.
  • 47 1dem, p. 813.
  • 48 Selva… p. 182.
  • 49 Selva…, pp. 178‑185.

 (Ritiro al Clero di Napoli durante la Peregrinatio Alphonsiana il 2 febbraio 1988).

P. Antonio Napoletano mentre tiene questa meditazione ai sacerdoti a Capodimonte.

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Riportato in
Sulle orme di S. Alfonso
di Antonio Napoletano
Valsele Tipografica, Napoli 1989, pp. 37-48
Ricerca fotografica: Salvatore Brugnano