S. Alfonso architetto

Un umanista del ‘700 italiano – Alfonso Maria de Liguori
3. S. Alfonso architetto

 Anche architetto?
Scrive sempre il Tannoia: «Anche da ragazzo se li destinarono in casa maestri per lo disegno così in pittura, che in architettura… Non fu meno perito nell’architettura. I disegni delle nuove case, anche da lui si delineavano; o perdo meno gli architetti, che avevano le commissioni, sottometter dovevano alla sua censura quanto da essi era stato ideato» (1).
Al di là della testimonianza e di altri rari accenni del suo primo biografo — che oltre a far parte della stessa congregazione, gli era anche contemporaneo — non abbiamo nessun documento sull’attività di sant’Alfonso nelle vesti di architetto. Solo per tradizione — o per deduzione da alcune affermazioni di p. A. Tannoia — possiamo supporre che la casa di Ciorani e quella di Pagani siano state disegnate da lui.

Per la costruzione di Ciorani infatti lo storico alfonsiano è categorico nell’affermare che non c’è stato un architetto né un ingegnere responsabile della fabbrica: «Determinato il sito, si videro uomini e donne di ogni condizione impegnati con gran fervore, chi al trasporto delle pietre, chi dell’arena, chi affannato in formar fornaci, e chi al taglio e al trasporto delle fascine; ed alla rinfusa col popolo anche i medesimi figli del barone, i preti col parroco, e far capo a tutti Alfonso col p. Rossi e Mazzini, e con altri compagni che acquistato aveva. A momenti la fabbrica vedevasi andare innanzi; ma ciò che faceva maraviglia si è che tanti e tanti, senza essere stati discepoli, millantavansi maestri in quell’arte, e dar legge agli altri di pendolo e di livello; voglio dire che tutti fabbricavano, ancorché non atti a quel mestiere» (2).
Al riguardo abbiamo un’interessante osservazione dell’avvocato Cesare Sportelli, prete nel medesimo istituto, morto una diecina d’anni dopo la costruzione di quella casa, e oggi venerato come servo di Dio. Conoscendo com’era stata tirata su, ogni volta che ci passava davanti, con ammirazione mormorava: «Il miracolo si è che (la casa) non rovina e si mantiene».

Abbiamo rintracciato la piantina, delineata personalmente dal de Liguori, del convento e della chiesa di S. Maria della Consolazione di Deliceto (3).
Nessuno si illuda di trovarsi davanti al disegno tecnico di un architetto di professione. Esso però, unito a un paio. di manoscritti autografi, ci dà un’idea di ciò che Alfonso esigeva dagli architetti, quando di essi non si poteva fare a meno, e del controllo minuzioso sul loro lavoro: le case, prima di tutto, dovevano essere estremamente funzionali e adatte ad accogliere un congruo numero di confratelli, ma anche, eventualmente, di ospiti, che di solito erano i partecipanti ai corsi di esercizi spirituali; poi, dovevano essere fabbricate secondo un rigoroso disegno, precisato antecedentemente, che rispecchiasse le disposizioni del Governo; il quale, puntigliosamente contrario a nuove fondazioni di istituti religiosi, nelle
costruzioni non doveva trovare nessun motivo per contrastarle o addirittura per sopprimere quelle esistenti (4).

Riguardo alla prima esigenza, proprio sul convento di S. Maria della Consolazione, egli stesso scrive: «In questa Casa poi da noi si (è) accresciuto un altro Corridore dalla parte di Foggia con… stanze; ed altre stanze altrove. Si è anche accresciuta la vigna. S’è fatto il Coro della Chiesa, allargandola. Ivi ora da più anni si danno diverse mute d’Esercizj ogni anno ad Ordinandi, a’ Sacerdoti, e Secolari, che sono arrivati sino al
numero di 40, in circa» (5).
Nella piantina si legge chiaramente: «Quarto nuovo cominciato». E a volerlo, è stato proprio lui, come appare dalla citazione precedente, secondo le finalità della fondazione.

Pure per l’altra esigenza, scrupolosamente controllata dal Santo, abbiamo un documento molto eloquente. Si riferisce alla costruzione della casa di Pagani. A causa di essa, il de Liguori fu avvertito dell’uscita di un «dispaccio da S.M. col quale si notificava che su di un esposto di alcuni secolari dell’Università di Pagani, con cui si rappresentava a S.M., d’essersi da’ miei compagni nella costruzione della casa di Nocera ecceduto i limiti dell’Assenso Reale, per essersi fatta a forma di monastero».
La risposta di Alfonso, rimessa al Governatore di Nocera, fu immediata, rispettosa ma decisa. Ne parla lui stesso in una lettera, firmata il 12 marzo 1745, al marchese Gaetano M. Brancone, segretario di Stato per gli Affari ecclesiastici, uomo di gran peso politico negli ambienti governativi e, fortunatamente, sincero amico del p. de Liguori.
In essa, tra l’altro, scrive: «Per non trattenere l’esecuzione degli Ordini Reali ò stimato bene di fare inteso il Sig.re Governatore con una mia di quanto occorreva per la dilucidazione di detto affare, e specificamente l’ò scritto, ch’io non ò mai stimato che quella casa sia fabbricata a forma di Monastero; conforme han similmente stimato tutti: Ingegneri, Religiosi, ed Avvocati. Mentre i Monasterj si specificano da’ Chiostri, chiamati da’ sacri Canoni septa; et in quella casa non vi è neppure ombra di Chiostro. La divisione poi delle stanze, è certo, che non ha forma di Monastero, poicché queste si fanno per mero commodo de’ soggetti, che vi abitano, conforme si vedono mille case de’ secolari fatte similmente colle stanze divise, e col passetto per entrarvi. Questo è quello, che in sostanza ò notificato al. Sig.re Governatore, e l’istesso ò voluto notificare a V. Eccellenza, acciocché possa liberarci da questa sfacciatissima calunnia de’ nostri contrarj» (6).

Da quanto esposto si deduce che la possibilità di immaginarsi sant’Alfonso Maria de Liguori in uno studio d’architetto, magari in camice da lavoro, fra righe, squadre, ciclografi, parallele, archipenzoli, regoli calcolatori, pantografi, è molto più che fantasiosa! Che poi, frequentemente, egli abbia dovuto affiancare l’opera degli architetti e talvolta, anche se molto raramente, perfino sostituirli per motivi contingenti, è segno di quella sua straordinaria capacità, naturale e acquisita, di orientarsi adeguatamente in tante attività dell’intelligenza umana.

“Si faccia quel che dice l’ingegnere”
«Don Andrea mio, circa la casa d’Iliceto sento che vi sono diverse cose da considerare.
La prima cosa da considerare è, che non conviene dare questo gran rammarico a D. Pietro [Cimafonte], dopo che ci ha con tanto incomodo favorito, e gratis per tanti anni. D. Pietro si è dichiarato che, se in questa cosa non si fa come dice esso, la piglierebbe per aggravio e smacco.
Sento di più che il P. Fiocchi, il P. Cimino e specialmente il P. Mazzini aderiscono a D. Pietro; ed io, in ogni qualunque dubbio minimo che ci sia, dico, come ho detto sempre, che si faccia quel che dice l’ingegnere, e non quel che dicono i nostri Padri, i quali sanno di Morale, ma non di queste cose.
In quanto alli tre cameroni, dicono gl’ingegneri, come sento, che hanno preso la mira che possano dividersi in camere, se vogliamo farle camere.
In quanto alla grada [scalinata], dico già che per ora non si ha da partire; in quanto ad alzare il quarto, sento che anche per ora si ha da scendere qualche grado. Basta: io non sto inteso appieno delle cose, ma affatto non stimo bene che si fabbrichi contro quel che dice D. Pietro. Onde bisognerà almeno che V. R. vada in Napoli prima di fare altrimenti di quel che dice egli, e parli con lui; e dopo si risolverà. Ma io so che D. Pietro è uomo capace e sta inteso delle nostre miserie; onde non credo che voglia ostinarsi a farci fare spese inutili, o incompatibili alle nostre forze…
In quanto a Cimafonte, io non so che rispondergli. Le ragioni che m’avete mandate a dire servirebbero per farlo più impestare; onde ho pensato esser meglio non rispondergli».
Fratello Alfonso (7).

 Immagini delle Case la cui costruzione è stata seguita personalmente
da S. Alfonso.

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Note
(1) A. Tannoia, op. ,cit., I, p. 8.
(2) A. Tannoia, op. cit., II, p. 109.
(3) Archivio Generale C. SS. R., 050105, SAM 309. Che la cartina sia stata delineata da sant’Alfonso lo afferma il primo biografo del Santo, p. Tannoia (cfr. Spicilegium Historicum C. SS. R., V, 1957, p. 301).
(4) In una lettera scritta dal marchese Gaetano M. Brancone a sant’Alfonso. si trova una delle condizioni per ottenere dal re l’assenso a nuove costruzioni: «che il detto edificio non avesse a tener forma di convento, ma di casa secolaresca per commodo solamente e ritiro de detti Preti, i quali dovessero in tutto e per tutto esser sottoposti a’ Vescovi del luogo come sono i Preti che vivono nelle proprie case» (Spic. Hist., V, 1957, p. 291).
(5) Spicilegium Historicum C. SS. R.,. V, 1957, p. 299.
(6) Analecta C. SS. R., XVII, 1938, pp. 272-273.
(7) S. Alfonso, Lettere, op. cit., I, pp. 579-580.