O felice chi giunger potesse (sull’amore che Gesù porta alle anime) O felice chi giunger potesse a morire piagato d’amore per quel caro Divino Signore, ch’è ‘l più bello, più degno d’amor. Ah ch’Ei solo e sì amabil, si vago, ch’ogni gemma, ogni stella, ogni fiore perde tutto il suo pregio e splendore, posto a fronte al suo Viso Divin. Egli sempre va a caccia di cori, ed ha un dardo, che appena ferendo, ogni core d’amore languendo è costretto ad amar chi ‘l ferì. Prende amante diverse sembianze, per ferire quest’alme dilette, per vederle via sempre più strette e più unite al Divino suo Cor. Perciò in terra già il Verbo Divino pria fanciullo a noi volle apparire, e da noi col suo dolce vagire tutto Amor venne amore a cercar. Poi qual umile e bel garzoncello diè a vedersi di povero Artiere, non sdegnando in quel vile mestiere negli offici più vili servir. Volle in fine legato qual reo comparire all’amata sua Sposa, e così la sua vita penosa tra le pene spirando finì. Giunse a porsi sott’ombra di pane e donarsi ivi tutto Egli aspira a chi unirsi più seco sospira, ed amante cercando lo va. Tutte insomma sa l’arti d’amare, né perdona a fatica e sudore, quando tratta far preda d’un core, o dimanda da quello più amor. Or vedersi fa tutto da Sposo spirar grazia, dolcezza ed amore: or vedersi fa tutto rigore: son tutt’arti per farsi più amar. Questo è Quello, che antico mio Amante prima il core d’amore m’accese, poi per pegno d’amore sel prese, e gelos’ora seco sel tien. Taci dunque, da me non cercare mondo iniquo, più stima, nè amore: altr’oggetto si prese il mio core più fedel’e più amabil di te.