Capone Raffaele redentorista

Mons. Raffaele Capone (1829-1908) – Italia.

Mons. Raffaele Capone (1829-1908)
Vescovo di Muro Lucano
(dall’elogio funebre)

Nato a Salerno il 22 agosto 1829, morì in Napoli, nel nostro Collegio di S. Antonio a Tarsia alle ore 15 del giorno 22 Marzo 1908, con la morte del Giusto.

Dal primo momento che mise piede nella nostra Congregazione del SS. Redentore, ove fece la professione il 24 dicembre del 1848, e ricevette il Sacro Ordine del presbiterato il 14 novembre 1852, fu entusiasta dell’ abito che aveva indossato.

Per lui la porpora era un nulla a fronte dell’umile veste dei Figli di S. Alfonso: e quella veste volle sempre portare, nonostante che alle volte per essa dové subire scherni e dileggi.

Un signore di Salerno, che era tutto nella città, il Dott. Matteo Luciani, suo amico, allorché per la jattura dei tempi, scioltasi la Congregazione, P. Capone dové ritornare in famiglia, gli stava sempre all’orecchio per indurlo a mutar l’abito ed il cappello liguorino con la sottana ed il cappello del prete; ma egli fu duro e respinse sempre il brutto consiglio.

Un’altra volta, ancora in Salerno, siccome egli aveva preso a pigione una casa, e vi teneva dei giovani studenti Liguorini, ai quali faceva scuola di Scienze Sacre, e dei quali si occupava come tenerissimo padre, accompagnandoli a passeggio, e vivendo come in comunità con loro, un signore, che a quei tempi era in Salerno uno sfegatato anticlericale, l’Avv. Alfonso Orilia, al vedere uscire da quella casa il Padre Capone con i giovani studenti vestiti da Liguorini, li fece inseguire con scherni e dileggi dai monellacci che aveva potuto raccogliere in quel momento.

Né si mancò di ricorrere perfino alle pietre, come avvenne un giorno sulla via di porta Ratese, tanto che il povero P. Capone riuscì a salvarsi a pena a pena col darsela alle gambe.

Ciononostante, egli non volle mai smettere quell’abito; anzi, quanto più veniva per esso perseguitato, tanto più si rafforzava nell’amore verso l’umile veste Liguorina.

Vescovo redentorista
Nominato Vescovo titolare di Esebon e coadiutore del Vescovo di Muro Lucano, Mons. Francesco Saverio D’Ambrosio di s. m. il 22 dicembre 1873, chiese in grazia a Pio IX di continuare a vestire l’abito Liguorino, come praticò fino alla sua morte. Poche volte, nei 34 anni del suo Episcopato, proprio quando non ne poté fare a meno, vestì l’abito prelatizio nelle sacre funzioni, mentre sempre usò quello di Liguorino.

Amantissimo della propria Congregazione, lungi da essa col corpo, vi stava sempre con lo spirito; e, nel suo stile di vita, non si allontanò per nulla da quello dei Confratelli nei Collegi.

Anzi nell’ Episcopio aveva introdotto proprio gli stessi usi dei Congregati, come, il modo della sveglia, la pia pratica del Sabatino, e la meditazione al mattino ed alla sera, a cui dovevano prendere parte tutti di casa, comprese le persone di servizio.

Allorché poi usciva dalla sua Diocesi o per affari di essa, o anche per prendere un po’ di sollievo, trovava la sua gioia in mezzo ai Confratelli, tra i quali subito volava, o nella casa di S. Michele in Pagani, o in quella di S. Antonio a Tarsia, dove il 22 dicembre 1873 ricevette la nomina di Vescovo, lietissimo di potere in quei giorni menare con loro la medesima vita, avendo una povera cella, e dormendo sopra un povero pagliericcio non altrimenti che come se fosse un semplice Padre.

Una volta entrò in Refettorio qualche minuto dopo degli altri, e si inginocchiò per prendere dal Superiore la benedizione, come si pratica dai Congregati, e quell’ atto di umiltà commosse ed edificò tutti, ammirando lo spirito di quell’uomo indimenticabile.

Ed egli era corrisposto di pari affetto dai suoi amati confratelli.

Mons. Capone era instancabile in predicare nella sua diocesi, perché il Signore l’aveva dotato di un eletto spirito ecclesiastico e l’ aveva fornito di un’eloquenza tutta particolare che penetrava e commuoveva. Godeva assai quando, fuori Diocesi, poteva ricordarsi della vita di Missionario.

Ed eccolo (accenno agli ultimi anni soltanto) nel 1896 predicare gli Esercizi al Clero della Diocesi di Anglona e Tursi per invito di Mons. Pujia; nel1898 a Pizzoni di Calabria predicare gli esercizi a quel popolo insieme con i Padri della nostra Congregazione; nell’ottobre del 1899, dopo celebrate le sue Nozze d’argento episcopali, partire da Muro Lucano per andare a predicare agli studenti della Badia della SS. Trinità di Cava dei Tirreni per invito dell’ Abate Mons. Bonazzi, poi Arcivescovo di Benevento ecc. ecc.

La sua povertà
Parlare della vita di Mons. Capone come Vescovo di Muro Lucano, è parlare di una vita povera, afflitta, ristrettissima, per compiere opere di religione e di carità nella sua diletta Diocesi.

Chi non conosceva quell’uomo, al vederlo a prima vista, lo avrebbe caratterizzato per un avaro che faceva risparmi su tutto, tenendo conto fino al centesimo.

La sua mensa era così parca, che bisognava avere una vocazione speciale per stare a tavola con lui. Le frutta si mangiavano quando si potevano comprare in Muro, o quando, standovi qualche persona di riguardo, le faceva venire da Salerno. Vino, pane, tutto era misurato.

Siccome in Congregazione il sabato si mangia un sol piatto, così anche nell’Episcopio di Muro il sabato si mangiava un sol piatto; ma poi non si praticava la ricreazione che in Congregazione si fa la domenica. Tanto che il Fratello Laico che Monsignore teneva con sé (Fr. Giuseppe Gaeta), allorché Monsignore il sabato faceva fare quella mortificazione, ed accennava all’uso della Congregazione, quel Fratello ricordava la ricreazione della domenica; ma Monsignore faceva finta di non capire.

I camerieri che erano chiamati al suo servizio, sentendo di dover stare con un Vescovo, subito correvano. Ma poi, abituati in altre case a vivere più lautamente, vedendo la vita povera che si menava nell’ Episcopio di Muro, subito se ne scappavano, tanto che Monsignore era sempre privo di domestici.

Sulla sua persona faceva i più austeri risparmi: calzini ordinari, una sottana comune, delle scarpe grossolane, un cappello non di prima qualità. Si possono contare le volte in cui , viaggiando in treno, andò in prima classe; e spesso, scendendo dal treno, fino al posto dove doveva prendere la carrozza, si portava lui stesso la valigetta.

Monsignore badava anche riguardo ai lumi, come dovevano stare accesi la sera; e rimproverava chi il suo lume lo teneva acceso con fiamma molto alta.

L’amore per la chiesa diocesana
Ma perché tanti risparmi, fino a privarsi di un po’di carne di vaccina, che, mancando in Muro, poteva benissimo farsi venire dalla vicina Eboli, e pur non lo faceva, mentre ne aveva molto bisogno per la sua salute? Non per altro che per fare del bene alla sua diocesi.

Da una parte, essendo assai ristretta la rendita del Vescovado di Muro, non oltrepassando le 6.000,00 lire l’anno; e dall’ altra parte, ardendo dal desiderio di accrescere il lustro e il decoro della sua amata Chiesa e di beneficare i diseredati dalla sorte, faceva questi sacrifizi, volendo spendere per la Chiesa e per i poveri tutto quello che riceveva dalla Mensa Vescovile; e riserbando per il suo mantenimento solo quel poco di rendita che riscuoteva dai suoi beni di famiglia.

E solo così egli ha potuto compiere opere che formano la meraviglia di chiunque conosce le poche entrate di quel Vescovado.

Ecco ciò che ha fatto il venerato Mons. Capone nei 34 anni del suo Episcopato.

Innanzi alla Cattedrale ha fatto una larga piazza, abbattendo una roccia ed aprendo una Nuova Via che dal Castello mena alla detta chiesa, mentre prima vi era una viuzza stretta e indecente.

In mezzo a questa Piazza ha innalzato una grande statua di bronzo a S. Gerardo Maiella, gloria infinita della città di Muro, costata più di lire 10.000,00.

Alla Cattedrale ha donato tre statue: quella di S. Alfonso, quella di S. Gerardo e quella dell’Arcangelo S. Raffaele; più due grandiosi lampadari di ottone, oltre diversi più piccoli, spendendo circa 900,00 lire.

Per la Cattedrale ha speso lire 130.000,00 (come sta descritto nel Giornale «Il Buon Senso» del 15 aprile 1908). Per il Cimitero ha speso lire 15.000,00; per l’Episcopio più migliaia di lire; ecc.

Ha fondato in Muro una Casa per ricovero di 10 Orfanelle a perenne ricordo della Beatificazione di S. Gerardo Maiella, sotto la direzione delle Suore Stimmatine.

Ogni anno, a proprie spese ha mandato Missionari per la predicazione della divina Parola ora in un paese, ora in un altro della Diocesi.

Ed oh l’ardente carità del suo cuore! La mattina stessa del giorno in cui morì, volle a forza alzarsi dal letto: nessuna preghiera valse a trattenerlo, nonostante il suo stato fosse assai grave. Egli si volle alzare, perché, forse presago che fra non molto se ne sarebbe andato al cielo, volle disporre delle ultime somme di danaro che gli erano rimaste: ed avvicinatosi al tavolino, ne aprì il tiretto, ne estrasse il danaro di cui voleva disporre, e lo pose da parte. Indi, non avendo più forza bastante per stare alzato, chiese di coricarsi, e si coricò. Poco dopo venne il suo Vicario Generale Monsignor Camillo Gallo, ed egli subito gli disse di prendersi quel danaro che aveva già preparato, 2.000,00 lire; ed aggiungerlo all’altro, già assegnato per il mantenimento delle sue care Orfanelle.

L’ora della morte
Si può dire che Mons. Capone sia morto col nome delle Orfanelle in bocca: perché ad un Confratello, che, pochi momenti prima che egli morisse gli domandava che volesse che si facesse del danaro che teneva presso di sé, a lui appartenente, rispose: «Lo darete anche per le mie Orfanelle».

Ed Iddio che soccorre sul letto del dolore colui che in vita ha avuto compassione del bisognoso e del povero, lo aiutò nell’ora della morte, non facendogli sentire per nulla gli strazi dell’agonia, perché egli si addormentò dolcemente nel sonno della pace, per andare nel cielo a ricevere la corona immarcescibile della gloria.

Anzi il Signore lo benedisse nel desiderio di morire nella sua amata Congregazione, a napoli, S. Antonio a Tarsia. La mattina del 24 marzo la veneranda salma, chiusa in elegantissima cassa, sopra un elegante carro funebre, fu trasportata a Salerno, ove giunse alle ore nove.

A piè del suo ritratto che si conserva in Pagani si legge la seguente iscrizione:

« M.r Raph. M. Capone C.SS.R. S.T.D. munificientissimus Episcopus Muranus SS. D.ni Pii Pp. X Praelatus Domesticus et Pontificius Solio Assistens natus Salerni die 22 Aug. 1829 prof. 24 Dec. 1848 presb. 14 Nov. 1852 Nomin. Ep. tit. Exebon et Coadiutor Episc. Murani die 22 Dec. 1873 cui successit 23 Gen. 83. Obiit Neapoli in domo S. Ant. Pad. ad Tarsiam inter confratres suae Congregationis 22 Mar. 1908 ora 3 post meridium.

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Profilo tratto da Biografie manoscritte
del P. S. Schiavone –
vol.3 Pagani, Archivio Provinciale Redentorista.
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Capone Raffaele1-Italia

Due ritratti fotografici del redentorista Mons. Raffaele Capone, vescovo di Muro Lucano (PZ). Zelante testimone della Parola e di una vita povera, i cui frutti andarono a beneficio delle orfane e della chiesa diocesana. Guidò spiritualmente, attraverso corrispondenza epistolare, alcuni membri della nobile famiglia Toraldo a Tropea
Due ritratti fotografici del redentorista Mons. Raffaele Capone, vescovo di Muro Lucano (PZ). Zelante testimone della Parola e di una vita povera, i cui frutti andarono a beneficio delle orfane e della chiesa diocesana. Guidò spiritualmente, attraverso corrispondenza epistolare, alcuni membri della nobile famiglia Toraldo a Tropea

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