L’orologio di S.Alfonso

In margine al 250° dell’ordinazione episcopale di S. Alfonso

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L’orologio
di monsignor
de Liguori

di

P. Giuseppe Orlandi

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S. Alfonso e l’orologio

In occasione del Processo di Beatificazione, il p. Antonio Maria Tannoia depose che nel 1762, durante il soggiorno romano per l’ordinazione episcopale, s. Alfonso aveva speso 16 scudi per l’acquisto di un orologio, a ciò «obbligato […] dal Padre Villani per regolamento delle ore»[1]. Una somma abbastanza modesta (con essa, al mercato di Campo de’ Fiori, si compravano cinque quintali di grano), che tuttavia s. Alfonso pensò di recuperare, allorché – due anni dopo – una terribile carestia si abbatté sul Regno di Napoli.
In quella occasione, per soccorrere i poveri della sua diocesi, egli «incominciò a vendere il meglio, che lui aveva» (comprese la carrozza e le due mule, che però furono riacquistate e a lui restituite da suo fratello Ercole). Aveva deciso di vendere anche l’orologio, venendone distolto dai suoi collaboratori, che gli fecero notare che «per la mancanza di questo si sarebbero disordinate tutte le ore del suo regolamento cotidiano»[2].

Quello menzionato non fu l’unico orologio posseduto da s. Alfonso, dato che nell’inventario delle sue «robbe» portate in diocesi figurano «due orologi di sacca, uno comprato in Roma, e l’altro in Napoli» (oltre a «due svegli di camera»: uno per la residenza vescovile di Sant’Agata de’ Goti, e l’altro per quella di Arienzo, località della diocesi in cui s. Alfonso era solito risiedere).

P. Antonino Lauria redentorista
Degli orologi di s. Alfonso si era perduta traccia, fin quando, in anni recenti, si è saputo che uno di essi è custodito nel  Museo “Don Guanella” di Como, dove è giunto per una serie di circostanze singolari. Da un documento ivi conservato, risulta che esso faceva parte di una serie di «reliquie» di s. Alfonso, un tempo possedute dal  p.  Antonino  Lauria.
Nato  a  Naro  il  4  giugno  1811 da  «civile  e  agiata  famiglia»  (possedeva  una  miniera di zolfo), Antonino era entrato nel noviziato dei Redentoristi il 15 ottobre 1826[3]. Ammesso alla professione religiosa il 24 settembre 1827,  era stato ordinato sacerdote il 21 dicembre 1833, con dispensa pontificia di 22 mesi. Rettore in  varie case.  Lo era di quella  di  Agrigento,  allorché   venne  soppressa  in  forza  del  decreto  dittatoriale del 17  Giugno 1860, emanato per colpire espressamente i Gesuiti e i Redentoristi[4].
Esaurite le formalità di legge (inventariazione dei beni, alla quale il p. Lauria non poté partecipare, perché colpito da un attacco di colica renale; controlli amministrativi, ecc.), l’11 luglio i sedici membri della comunità – compresi i cinque confratelli venuti da Sciacca e da Calatafimi – vennero messi alla porta dalle autorità e costretti a cercarsi una sistemazione, almeno provvisoria.
Il p. Lauria, a motivo delle precarie condizioni di salute, avrebbe potuto  avvalersi   del  permesso   offertogli  di  restare  ad  Agrigento. Preferì  invece condividere la sorte degli altri 15 confratelli – della cinquantina che la Congregazione contava allora in Sicilia, ugualmente dispersi – prendendo con loro la via dell’esilio, diretti a Malta.
All’arrivo furono accolti da quel vescovo,  mons.  Gaetano  Pace-Forno, che gli assegnò la casa e la chiesa, un tempo dei Padri Oratoriani. Il drappello redentorista cominciò subito ad impegnarsi nell’apostolato. Particolarmente il p. Lauria, che ben presto si fece apprezzare come predicatore.
Negli anni successivi gli esuli, gradualmente, fecero ritorno in Patria, tanto che nel 1863 ne restavano a Malta solo quattro.
Nel 1867 partirono anche gli ultimi due[5]. Uno di loro era il p. Lauria, che si recò a Naro, dove rimase per il resto dei suoi giorni. Si impiegò in vari lavori apostolici, venendo anche nominato, nel 1872, vicario dei due monasteri locali e Pro-visitatore sinodale.
Ebbe particolare cura delle Figlie della Carità di s. Vincenzo de Paoli, che egli aveva fatto venire a Naro dalla Francia, provvedendole di una adeguata rendita[6]. Si trattava di 400 ducati annui da lui offerti – a cui il comune ne aggiunse altri 300 – che dovevano provvedere al mantenimento di cinque Figlie della Carità[7].
Queste dal canto loro si impegnavano «a visitare gl’infermi poveri e bisognosi d’ambo i sessi nei loro particolari domicili, e a prestare ad essi quei soccorsi e medicine che saranno loro necessari»[8]. Inoltre, si obbligavano ad aprire una scuola femminile, nella quale «dare a tutte le fanciulle povere di questo Comune una educazione religiosa, morale e civile, facendo loro praticare i doveri della nostra santa religione cattolica, ed istruendole nel leggere e scrivere, e nelle arti donnesche»[9].
Vale  la  pena  di  sottolineare  che il p. Lauria – volendo  combattere  la  gravissima piaga dell’analfabetismo femminile[10] – si preoccupava che le bambine imparassero non solo a leggere, ma anche a scrivere. Cosa allora tutt’altro che scontata[11].
Col tempo il suo stato di salute peggiorò. Nel 1878 «venne per la prima volta colpito da paralisi».  Accolto nella casa del cugino Paolo Lauria, vi rimase fino alla morte, che lo colse il 5 agosto 1881.

Da Salvatore Giammusso, Antonino è posto tra coloro che, «costretti dal decreto di soppressione a ritornare in famiglia, vi rimasero per sempre anche quando fu ricostituita la Congregazione in Sicilia»[12].
Anche Francesco Minervino lo dice «esclaustrato per la soppressione»[13]. Affermazioni che mal si conciliano col fatto che il suo nome figura nell’Index Congregatorum qui a die 14 febr. 1867 ad diem 31 dec. 1884 in Domino obierunt[14].

L’orologio di S. Alfonso, all'esame dell'esperto, è risultato essere d’argento, dotato di movimento a serpentina, di probabile fabbricazione inglese, della metà del Settecento.

L’orologio-reliquia
Tra le cose da lui lasciate in eredità al nipote, vi erano alcune «reliquie» di s. Alfonso, o per meglio dire alcuni oggetti appartenuti al Santo, tra cui il suo orologio. Ciò risulta dalla dichiarazione rilasciata, in data imprecisata, da suor Gabriella Naselli (forse la superiora dell’’Istituto Immacolata Concezione – Opera Pia “Lauria Destro” di Naro), alla quale furono consegnati da Casimiro Lauria. È probabile che la religiosa ne abbia fatto dono ai Guanelliani di Naro, e che questi a loro volta li abbiano inviati ai Confratelli di Como. Ma questa è una semplice congettura.

Nel Museo “Don Guanella” di Como, l’orologio di s. Alfonso è posto su un cuscino di stoffa color cremisi (fig. 1). Dato che è attraversato diametralmente da una fettuccia (dello stesso colore), fissata con ceralacca – come si usa con le reliquie – non è possibile esaminarlo minutamente.
Per cercare di ovviare a tale difficoltà, la foto dell’orologio è stata mostrata al noto esperto Luciano Meloni, titolare dell’”Antica Orologeria” (“Laboratorio Riparazioni e Ricostruzioni di Orologi Antichi di Ogni Epoca”) di Roma.
Secondo il quale, l’orologio in parola è d’argento, dotato di movimento a serpentina, di probabile fabbricazione inglese, della metà del Settecento.
Il sig. Meloni possiede un orologio simile (fig. sotto) – che ci ha gentilmente mostrato – anch’esso d’argento,  del peso di 126 g,  con  una  scocca  di 20 g  (il  vetro  ha nella  parte superiore una piccola lente di ingrandimento).
Gli orologi di questo tipo venivano caricati ogni giorno, utilizzando un’apposita chiavetta  (fig. sotto), che serviva anche per mettere a punto l’ora (inserendola al centro del quadrante).

Orologio del signor Meloni, simile a quello di S. Alfonso.
Gli orologi di questo tipo venivano caricati ogni giorno, utilizzando un’apposita chiavetta.

Utilità dell’orologio
Il possesso di un orologio era particolarmente utile a chi non voleva rischiare di assumere cibo o bevande dopo la mezzanotte – e di infrangere il precetto del digiuno – precludendosi così la possibilità di celebrare o di ricevere, l’indomani, l’eucarestia. Cosa capitata  qualche  volta – con  suo  grande  rammarico – anche a s. Alfonso, che perciò abitualmente cenava «coll’orologio a vista»15.
Chi non possedeva un orologio si regolava sui rintocchi della torre civica o del campanile. I moralisti affermavano che era «lecito fra molti orologi seguire l’ultimo, che suona l’ora di mezza notte».
Dettaglio non trascurabile, dato che – come s. Alfonso riferiva – «il tempo di mezza notte non già termina, come vogliono i Salmanticensi ed altri, all’ultimo tocco dell’orologio, ma al primo, siccome rettamente dicono Lugo, Sanchez, Tornelli, ecc., e di ciò ne sono stato assicurato da un peritissimo maestro d’orologi». Ma aggiungeva anche che, nel dubbio se il «digiuno è stato sciolto,  non possiede già la proibizione, ma la libertà di chi vuol comunicarsi»16.
Affermazione pienamente coerente con il suo indirizzo morale e spirituale, provato dal fatto che – nelle sole opere in lingua italiana – egli menziona la parola «libertà» per ben 811 volte.

P. Giuseppe Orlandi

Como, Casa Divina Provvidenza, dei Padri Guanelliani, dove è sistemato il museo che conserva l’orologio di sant’Alfonso.

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dal “Bollettino della Provincia Romana C.Ss.R.” –  Anno 57. Nuova serie, n. 9 – 15 ottobre 2012.


[1] Deposizione dell’11 novembre 1788, in Archivio Generale C.SS.R., Processo Ordinario di Sant’Agata, Tomo III, f. 1252.

[2] Deposizione di d. Felice Verzella, segretario di s. Alfonso, del 29 maggio 1788. Archivio Generale C.SS.R., Processo Diocesano di Nocera, Tomo II, ff. 739’-740.

[3] [P. Lauria], Ultimi uffizi resi alla veneranda memoria dell’esimio sacerdote Padre D. Antonino M.a Lauria della Congregazione del Ss. Redentore, già rettore ne’ tre Collegi di Catanzaro, di Napoli e di Girgenti, nel dì 5 agosto 1881, Girgenti 1881, 5.

[4] Il documento era firmato da Giuseppe Garibaldi, «Comandante in capo delle Forze Nazionali in Sicilia», e controfirmato dal ministro dell’Interno Francesco Crispi, ex seminarista e nipote di un vescovo. G. Russo, La triste vicenda della soppressione dei Redentoristi di Agrigento nel 1860, in «Spicilegium Historicum C.SS.R.», 58 (2010) 376-377.

[5] G. Russo, I Redentoristi in Agrigento, Agrigento 2005, 327. In [P. Lauria], Ultimi uffizi,14la partenza del p. Lauria da Malta è posta nel luglio del 1869.

[6] Copia esecutiva dell’atto di donazione eseguito dal Rev.ndo Sac. D. Antonino Lauria e dal Comune di Naro a favore delle Figlie della Carità, a’ 22 aprile 1860. Come si vede, l’atto notarile era stato stipulato poco prima dello sbarco a Marsala dei Mille di Garibaldi (11 maggio). Il documento ci è stato trasmesso dal p. Giuseppe Russo, C.SS.R., che qui vivamente si ringrazia.

[7] Il p. Lauria aveva anche sborsato, «per una sola volta, ducati cinquecento, da servire per la prima spedizione delle Figlie della Carità, come indennizzo alla Comunità di esse Figlie Parigi, pel viaggio delle medesime: vestiario, biancheria ed altro all’uopo occorrente». Copia esecutiva.

[8]. A Naro esisteva un ospedale, «al quale pochissimi accorrono, perché povero e mal servito», tanto «che gl’infermi indigenti languiscono nel proprio domicilio, privi d’ogni umano soccorso, e talor anche religiosi». Ibid.

[9] Ibid.

[10] Nel 1861 in Sicilia l’analfabetismo femminile raggiungeva il 95%, pur escludendo dal computo le bambine al di sotto dei cinque anni. F.S. Nitti, Scienza delle finanze, Pierro 1903.

[11] Basti pensare che allora in Svezia – il Paese più alfabetizzato d’Europa – l’85 % della popolazione sapeva leggere, ma solo il 10% sapeva anche scrivere. S. Colonaci, Educazione, pratiche di mestiere, propaganda. A proposito del volumeSaperi a cofronto nell´Europa dei secoli XIII-XIX, in «Archivio Storico Italiano», N. 632, a. 170 (2012) 361-364.

[12] S. Giammusso, I Redentoristi in Sicilia. Memorie bicentenarie, 1761-1961, Palermo 1960, 249.

[13] Minervino, Catalogo, 101.

[14]Catalogus Congregationis SS. Redemptoris concinnatus et publicatus exeunte anno MDCCCLXXXIV, Roma [1884], 163.15 Deposizione del can. Cesare Mecchella del 9 dicembre 1788, in Archivio Generale C.SS.R., Processo Ordinario di Sant’Agata, Tomo IV, f. 1882.16 S. Alfonso, Istruzione e pratica pei confessori, Torino 1880, 339-340.