S. Alfonso e Sant’Agata dei Goti_2

Il cammino del vescovo Alfonso Maria de Liguori: 1762-1775.
53.
S. Alfonso e Sant’Agata dei Goti -2.
Contributo storico del prof. Andrea De Rosa

Il Prof. Andrea De Rosa sarà tra le personalità che saluteranno il Santo nel Convegno celebrativo che farà tappa a S. Agata il 22 giugno prossimo .

S. Alfonso a Sant’Agata dei Goti – Parte II 

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I mali sociali
Al contatto di Sant’Agata, Alfonso ne ricavò subito la sensazione che tre grosse miserie l’affliggevano: (diceva “ sant’Agata è città infetta”); la bestemmia; la corruzione (era inflessibile con prostitute e loro conviventi, tanto da ordinarne l’espulsione dalla Diocesi e la carcerazione, ricorrendo all’Autorità civile,se gli avvisi vescovili andavano disattesi); la povertà determinata dalla economia agricola frammentata.

Quello che sconvolse maggiormente S. Alfonso era la decadenza dei costumi e il concubinato ecclesiastico, ai quali volle senz’altro porre rimedio. – Iniziò col reprimere la foggia del vestire dei sacerdoti e l’uso di parrucche, l’impedir loro di andare a teatro e di partecipare a spettacoli in veste di attori e di ammettere le donne nelle case dei parroci.
Bandì il gioco d’azzardo e riprendeva pubblicamente i peccatori, non stancandosi mai di esortarli a cambiar vita.
Visitò completamentela Diocesi, dividendola in zone, negli anni 1763-64 e 1764-65.
Il 24 luglio del 1763 si ammalò gravemente (congestione polmonare con complicazioni asmatiche) in Airola.
Tenacemente, volle ritornare a Sant’Agata, affermando: “in Sant’Agata Iddio mi ha destinato ed ivi debbo andare a morire”.
Sorpreso da una forte febbre, sul finire del 1764, tanto che si temette per la sua vita, operò un miracolo, dando la parola a un bambino dell’età di 4 o 5 anni, che era andato a trovarlo quand’egli era convalescente, accompagnato da uno zio.

 Arrivo delle Monache redentoriste
Un altro eccezionale merito di Sant’Alfonso, fu l’istituzione di un convento di suore a Sant’Agata: alla sua venuta, aveva notato che, nonostante l’abbondante presenza di clero e di ordini religiosi “Sant’Agata, città così cospicua, non aveva per le figlie nobili un Monastero per educarle, e per consacrarle a Dio”; si diede immediatamente a ricostruire il Conservatorio di Santa Maria di Costantinopoli, di origine cinquecentesca.
S. Alfonso andava a rendersi conto personalmente del procedere dei lavori, non dando tregua agli operai; stabilì – con il contributo della Civica Amministrazione del tempo- una rendita adeguata per la sicura sopravvivenza del Monastero.
Ottenne nel luglio del 1765, dal papa Clemente XIII, che tre suore venissero da Scala a fondare il Monastero di S. Agata.
Queste furono accolte da una popolazione strabocchevole e da gentildonne santagatesi, il pomeriggio di domenica 29 giugno 1765.
Le fondatrici – accompagnate da una conversa (Suor Maria Giuseppa di Gesù Maria) – furono: Suor Maria Raffaela della Carità (al secolo De Vito); Suor Maria Felice de’ santi Chiodi; Suor Maria Celestina del Divino Amore.
Per due giorni le suore ricevettero visite e furono a contatto col mondo: il mercoledì successivo fu posta la clausura.
La fama di queste Suore si sparse immediatamente: dalla lontana Germania, vennero due nobildonne a conoscere la regola che poi divenne basilare per un Monastero istituito a Berlino, sotto il patrocinio di Federico II.

 

L’amore per i poveri e per gli ammalati.
Grande fu l’amore di S. Alfonso per i poveri. – Diffusasi la notizia della grande liberalità di S. Alfonso, a frotte concorrevano i poveri da tuttala Diocesi: ognuno esponeva le sue necessità, ma nessuno se ne andò senza niente.
Tuttavia, lo zelo di S. Alfonso si manifestò nella sua interezza durante la carestia che afflisse il Regno di Napoli negli anni 1763-64.
Egli l’aveva predetta, durante la missione d’ingresso a Sant’Agata, ma non era stato creduto.
Il 10 settembre del 1763, di ritorno a Sant’Agata dopo la convalescenza a Pagani, vedendo una fila sterminata di mendicanti, diede ordine di far provviste di cereali e legumi, tanto da riempire i depositi del palazzo vescovile; a fine anno, in città, non si vendeva più pane e cominciarono a presentarsi nell’episcopio circa 500 persone al giorno, chiedendo di che sfamarsi.
E se in Sant’Agata non si contarono i tremila morti come nella Diocesi di Cerreto, fu per lo straordinario intervento del Santo Vescovo.
Siccome le riserve alimentari non erano inesauribili e bisognava rimpiazzarle, Monsignor de’ Liguori alienò l’anello prezioso appartenuto a un defunto nobile cugino. L’anello vescovile regalatogli dallo zio, Vescovo di Troia, la croce pettorale in oro, le posate di argento; vendette finanche la carrozza, che fu pagata da un suo fratello per non farla andare in mani estranee.
Ma neppure questo fu sufficiente, perché era diventato impossibile trovare grano (il duca di Maddaloni lo conservava, in attesa dell’aumento del prezzo); la folla, esasperata dalla lunga sofferenza, domenica 19 febbraio 1764, ritenendo responsabile il Sindaco – Domenico Cervo – assaltò la sua casa a colpi di accetta: questi, attraverso un passaggio segreto, riuscì a portarsi nel palazzo vescovile, dove fu nascosto dal Vescovo, che uscì incontro al popolo e riuscì a calmarlo, facendo distribuire le ultime provviste del Seminario.
Alla notizia del tumulto, il governatore mise in commercio il grano del duca di Maddaloni, riportando quiete in città.

Durante la sua permanenza a Sant’Agata, oltre quello citato, operò un altro miracolo: il 20 giugno 1764, proveniente da Durazzano e diretto a Frasso, in località Verroni di Sant’Agata, guarì il figlio di un mercante, che già era stato abbandonato dai medici.
Dovunque era accolto da Santo: la gente che aveva modo di incontrarlo, gli tagliava persino pezzi del suo mantello, che, applicati sui malati, procuravano miracolose guarigioni.
Tuttavia, debilitato dal fisico, provato dal grande impegno del suo magistero episcopale, rassegnava le dimissioni nelle mani del Papa, Clemente XIII, il quale, il 18 giugno 1765, nel rigettarle, così rispondeva: “Mi basta la sua ombra per essere di giovamento a tuttala Diocesi”.

Anche se immerso a pieno nel vivo dell'azione pastorale il Vescovo Alfonso trovò tempo e modo di scrivere molto per il bene delle anime: la sua fama varcò i confini dell'Italia. (Composizione di gusto settecentesco presso Don Antonio Abbatiello, S. Agata).

Vescovo scrittore
Durante la permanenza a Sant’Agata, scrisse la maggior parte delle sue opere dottrinali (circa 60), distinguendosi nell’opera incessante di diffusione della fede contro gli eretici.
Tra tutte ricordiamo: “Breve dottrina cristiana“ (1762), “Apologia“ (1764), “Dell’uso moderato dell’opinione probabile“ (1765), “Istruzione al popolo” (1767), “Verità della fede” (1767), “ La pratica di amare Gesù Cristo” (1768), “La via della salute”, la riduzione della “Morale” in tre volumi ed in italiano.
Ebbe anche un’intensa ed inedita corrispondenza con il Ministro del Regno di Napoli Bernardo Tanucci, il quale aveva una grande stima di S. Alfonso, venerandolo come Santo, ma ritenendo un Santo “dannoso”, soprattutto perché il Vescovo di Sant’Agata era enormemente influente.

Sofferenze e rinuncia
Dal 1767, le sue aggravate condizioni di salute lo costrinsero a permanere nella residenza di Arienzo.
Quando, però, neppure dal letto poteva governare la sua Diocesi, il papa Pio VI, accettò le sue seconde e definitive dimissioni il 17 luglio del 1775.
Egli voleva ritornare a S. Agata per salutare tutti, ma non ritenendosi in grado di affrontare la salita di Arpaia, il 27 luglio 1775, lasciò Arienzo la sua Diocesi e si ritirò a Pagani. Alla notizia della sua partenza, le suore di Sant’Agata avevano invocato da S. Alfonso che lasciasse loro il suo cuore.
Aveva governatola Diocesiper 13 anni e 15 giorni, non allontanandosi che per tre volte: la prima, per assistere a un capitolo generale della sua Congregazione; la seconda, per ordine dei medici nel 1765; la terza, sempre per i bisogni della Congregazione, non trascurando quelli dei suoi diocesani.
Visse altri 12 anni, tra la preghiera, gli studi e le visite di prelati, clero e fedeli.
Quando le sue condizioni di salute si aggravarono, in stato preagonico, richiesto dai confratelli, benedissela Diocesie le monache di Sant’Agata.
La città, alla notizia della malattia di S. Alfonso, rispose in maniera straordinaria: tutto il clero, le religiose e il Capitolo Cattedrale, con l’esposizione del Santissimo, elevarono preghiere per l’ammalato: fu ordinata anche una speciale preghiera per tutta la Diocesi.
Due gentiluomini santagatesi, apprendendo la notizia nel Convento di S. Lorenzo in Napoli, ebbero a dire che la morte di S. Alfonso avrebbe apportato una tristezza universale in Sant’Agata e in tuttala Diocesi, per il bene che aveva fatto e che continuava a fare.
S. Alfonso si spense a Pagani il 1° agosto del 1787, alle ore 12, tra il compianto generale.
A Sant’Agata si svolsero solenni funerali nella Cattedrale, dove l’orazione funebre fu tenuta dal Canonico Pasquale Napoletano, da tutti applaudito.
Appena morto, anche in Sant’Agata operò dei miracoli: una donna fu guarita da lancinanti dolori al fianco, invocando il Santo, così come avvenne anche per un canonico.
Non si pianse la perdita, ma tutti erano consolati dalla sicura fiducia di avere nel cielo un Padre amoroso.

S. Alfonso morì a Pagani il 1° agosto 1787: aveva governato la Diocesi di S. Agata per 13 anni e 15 giorni.

Un amore reciproco
Fu, al di là di ogni altro merito, profondamente democratico; appena nominato Vescovo, per somma umiltà, rifiutò il titolo di Eccellenza e si amareggiava ogni volta che i diocesani glielo conferivano, tanto che col tempo, il titolo cadde in disuso.
Credeva nella libertà ed affermava: “Tutto mi è lecito, eccetto quello che mi è certamente vietato”.
S. Alfonso è Patrono dell’ex Diocesi di Sant’Agata dei Goti e compatrono di quella di Cerreto-Telese-Sant’Agata dei Goti.
A Sant’Agata si conservano la reliquia dell’osso del ginocchio, la cattedra vescovile, documenti cartacei, libri di S. Alfonso, mentre la mitria è stata trafugata.
Sant’Agata ha sempre onorato S. Alfonso e ha mantenuto vivo il suo culto.
Nel 1923, auspice Mons. Giuseppe De Nardis, ad opera dello scultore romano Cesare Aureli, nella piazza principale del paese, gli è stata eretta una statua marmorea, alta tre metri, di grande pregio artistico.
Gli è stata dedicata la piazza del Duomo e ad “Alfonso Maria dé Liguori “ è intitolato l’Istituto Statale di Istruzione Superiore (già Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri) e il Nuovo Ospedale in località San Pietro.
Particolare impulso alla conoscenza della vita e delle opere del Santo Vescovo è venuto dall’allestimento, nel restaurato Episcopio, dei “Luoghi Alfonsiani”, fortemente voluti da Mons. Mario Paciello ed inaugurati il 26 settembre 1996, in occasione del terzo centenario della nascita di S. Alfonso, dal Cardinale Giuseppe Ratzinger (ora papa Benedetto XVI): attualmente, meta interessata di turisti e pellegrini.

Andrea De Rosa
Quando non diversamente indicato, le citazioni sono tratte da A. TANNOIA “Vita di S. Alfonso M. de Liguori “

Il Preside De Rosa con un gruppo di insegnanti in visita al Santo in Pagani il 5 giugno 2003: la foto ricordo è sotto l'arancio che la tradizione tramanda essere stato piantato dallo stesso S. Alfonso e che con l'accorta potatura e con sapienti innesti è stato portato avanti nella storia. Nel rifacimento del chiostro si è voluto conservare questo ricordo.