Cafaro Paolo redentorista

P. Paolo Cafaro (1707-1753) – Italia.

Il 13 agosto 1753, da Materdomini volava al cielo il P. Paolo Cafaro, terzo nella serie dei rettori. In Deliceto, Gerardo Majella, riscuotendosi da una delle sue estasi asseriva: «Ho contemplata l’andata in cielo del P. Paolo Cafaro, al quale è riservato un posto accanto a S. Paolo, perché, predicando, molte anime seppe guadagnare a Gesù Cristo ».
In Pagani, S. Alfonso, che aveva mobilitato tutte le anime buone per impetrarne la guarigione, piangeva la perdita di questo suo eroico figliuolo.
Nella piena rassegnazione compose allora quella famosa canzoncina: Il tuo gusto, e non il mio,- amo solo in me, mio Dio; Voglio solo, o mio Signore,- ciò che vuol la tua bontà. Quanto degna sei d’amore, – o divina Volontà.

Il P. Cafaro aveva trascorso la sua fanciullezza e la sua gioventù nella innocenza più perfetta. Impiegava molte ore della notte in fervente preghiera. Castigava il suo corpo con la mortificazione e la disciplina spesso a sangue, mentre la sua carne era tormentata da aspri cilizi.
A 28 anni fu nominato parroco, a Cava, della importantissima chiesa di S. Pietro, che per 5 anni guidò con apostolica sollecitudine e zelo indescrivibile. Desideroso poi di maggior perfezione, rinunziò alla parrocchia e, lasciata segretamente la casa, i genitori, gli amici e i parrocchiani, il 25 ottobre 1741, chiese ad Alfonso di essere ammesso nel numero dei suoi figli, emettendo, il 9 o 10 maggio 1743, i santi voti.

Per le sue virtù, lo stesso Santo Fondatore e Gerardo Majella lo scelsero a moderatore della propria anima, ed egli, come santificava sé stesso, studiavasi di santificare gli altri. Eppure, nella vita che scrisse di lui, S. Alfonso attestava che nessun martire aveva sofferto un martirio interiore come il suo.
E un suo compagno scriveva: « Se dovessi ritrarre il P. Cafaro, lo rappresenterei in piedi su una colonna di marmo con questa iscrizione: sempre lo stesso; per notare la sua costanza nell’esercizio delle più sublimi virtù, e la imperturbabile serenità nelle più terribili angosce ».

Quando il Margotta, per la sua qualità di Procuratore, dové lasciare la rettoria di Materdomini, alla fine di ottobre 1751, ebbe un degno successore nella maschia figura del P. Cafaro, che resse questo collegio fino alla sua beata morte. L’attività, la prudenza, la virtù, la santità del nuovo rettore aggiunsero novelli splendori alla nascente casa, che era diventata una vera fucina di santi.
Fu in questo tempo che Gerardo Majella, lasciata Deliceto, veniva di stanza a Materdomini. Fu in questa casa che il P. Cafaro diede ordine a Gerardo di correre ad aprire la porta, e avvenne il prodigio della botte sturata. E fu ancora in questa casa che Gerardo andò a mettersi nel forno. Scene che, se rivelano la perfezione e la santità di Gerardo, manifestano ancora la virtù e la santità del Rettore P. Cafaro.
A ragione, saputasi la morte del santo rettore, tutto il popolo di Caposele si riversò a Materdomini per venerarne la salma. E, se a Cava la casa paterna del Cafaro è denominata: la casa del prete santo; Materdomini custodisce il suo corpo venerato. S. Alfonso ne scrisse la vita; e i prodigi attribuiti alla sua intercessione ci danno la speranza di vederlo, un giorno, elevato agli onori degli altari.

P. Bernardino Casaburi
S. GERARDO, anno XLVII, maggio-giugno 1947, pag. 70.

P. Paolo Cafaro, nativo di Cava dei Tirreni, era uno zelante sacerdote quando decise di unirsi a S. Alfonso, provocando il disappunto del vescovo che non si rassegnava a perdere un soggetto così valido. Per le sue virtù, lo stesso Santo Fondatore e San Gerardo Majella lo scelsero a moderatore della loro anima.

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Altro Profilo

Il P. Paolo Cafaro fu uno dei primi compagni di S. Alfonso. Era nato in un casale di Cava il 5 luglio 1707. Meritò la vocazione all’Istituto del SS. Redentore per il fervore della vita e lo zelo nel ministero sacerdotale, dopo aver esercitato il ministero della cura delle anime nella parrocchia di S. Pietro.
Quando era nel secolo, scendeva spesso nella sepoltura di famiglia e, meditando a lungo sui resti del padre, sospirava: «O padre mio, quanto mai sei fatto leggiero … ». Era solito ritirarsi in silenziosi romitaggi, specialmente se doveva maturare importanti decisioni.
Per essere religioso dové sostenere la lotta mossagli dai familiari e dallo stesso suo Vescovo che, più volte premurato, gli intimò: «Non mi comparite più davanti, né più accostatevi alla mia diocesi».
Godeva nell’essere assegnato alle case più solitarie: la residenza di Deliceto col suo folto bosco fu per lui un paradiso.

Provò le pene dei contemplativi: le grandi aridità e desolazioni di spirito. « Signore, liberatemi dal peccato e fatemi santo! – ripeteva in tali circostanze – Dio mio, aiutatemi, e aiutatemi presto! ». Praticava intanto austere penitenze per spronare il corpo e lo spirito ai doveri della perfezione. Delle sue sofferenze spirituali S. Alfonso affermava: «Il sigillo, col quale mi obbligai, non mi permette di parlare; ma, se potessi farlo, muoverei anche i sassi a compassione ».

Quando il P. Cafaro esercitava il ministero della predicazione, appariva come un personaggio dell’Apocalisse, come la voce tonante della eternità! Sacerdote e parroco, nelle domeniche e giorni festivi, prendeva il Crocifisso, e si recava per i villaggi, invitando i peccatori a convertirsi. Talvolta veniva trattato per pazzo. «Nossignore, – ribatteva – non sono pazzi quelli che fanno l’ufficio loro; io fo il mio ufficio di aiutare le anime a salvarsi ».

Bramava portarsi tra gli infedeli, ma il Signore lo volle missionario nel Regno di Napoli, ed egli non risparmiò sudori e fatiche percorrendo paesi e città. Agli ignoranti, ai nobili Ecelesiastici parlava con fortezza, scuotendoli dalla tiepidezza spirituale. Erano immancabili le conversioni, solo che parlasse di eternità, ripetendo: « Una eternità di pene senza il minimo sollievo… Oh eternità disperata ! Oh disperazione interminabile ! Oh eternità di patimenti, quanto sei spaventevole!… ».

Molte anime egli guidò, attraverso il ministero della confessione e della direzione spirituale: suoi penitenti furono due grandi santi: S. Alfonso e S. Gerardo. Dopo la morte del Falcoja, S. Alfonso gli sottomise la sua volontà con voto di obbedienza in tutto e sempre. S. Gerardo era stato da lui ricevuto e inviato a Deliceto. « Nella città di Muro – attestava – gode credito di giovane virtuoso ». Divenuto suo Rettore, gli otteneva da S. Alfonso la vestizione religiosa e la professione dei voti. Da direttore spirituale, l’assisté nelle vie straordinarie delle macerazioni, delle estasi, dei prodigi.

S. ALFONSO, 1952, pag. 54.

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Profili tratti da
Nella luce di Dio, Redentoristi di ieri.
del P. Francesco Minervino, Pompei 1985

P. Paolo Cafaro amò la penitenza. Era solito ritirarsi in silenziosi romitaggi, specialmente se doveva maturare importanti decisioni. S. Alfonso, quando ebbe sentore della sua malattia e temendo per la sua vita, mobilitò tutte le anime buone per impetrarne la guarigione. Ma Dio volle diversamente e il Santo, nella piena rassegnazione della grave perdita, compose allora quella famosa canzoncina: "Il tuo gusto, e non il mio, amo solo in me, mio Dio"
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