Errico Luigi redentorista

P. Luigi Errico, C.Ss.R. (1820-1887) – Italia.

P. Luigi Errico (1820-1887)

P. Luigi Errico, particolare estratto dalla foto di gruppo del 1863 che ritraeva i Padri di Catanzaro e Tropea. – Uomo di intelligenza non comune è stato stimato e amato da confratelli e fedeli e temuto da quanti si univano per profittare della soppressione degli Istituti religiosi. – Dopo la soppressione rimase a Tropea, ma mori in Napoli nel 1887, dove si era recato per cure.

Il redentorista P. Luigi Errico. Particolare estratto dalla foto di gruppo del 1863 che ritraeva i Padri di Catanzaro e di Tropea. – Uomo di intelligenza non comune è stato stimato e amato da confratelli e fedeli e temuto da quanti si univano per profittare della soppressione degli Istituti religiosi. – Dopo la soppressione rimase a Tropea, ma mori in Napoli nel 1887, dove si era recato per cure.

 

Nacque a Ruoti di Potenza il 18 maggio del 1820.
Entrato nella Congregazione, fece la Professione il dì 1° novembre 1838, ed ascese all’ordine Sacerdotale il 1° giugno 1844.

Ad una vita intemerata e fervente accoppiò una intelligenza non comune, sottile filosofo aveva una tale intuizione nello scoprire l’errore, che bastava avere gettato i suoi occhi sul libro filosofico, che ne scopriva tutto il paralogismo.
Era anche profondo matematico.
Se i Superiori del tempo, appena uscito dallo Studentato, lo avessero applicato all’insegnamento più prediletto suo, come era desiderio del Consultore Generale P. Claudio Ripoli, giusto estimatore del suo merito ed istruzione, il P. Errico avrebbe illustrato la Congregazione al pari che l’hanno illustrato il P. Giuseppe Lordi, morto da Rettore Maggiore delle Due Sicilie, ed il P. Michele Vittoria.

La sua vita quindi la spese nell’evangelizzare le anime, ed ovunque ha fatto sentire la sua voce; le sue prediche non si dimenticavano così facilmente; ed apprezzato da tutti, si meravigliava come mai lo si potesse lodare, tanta era la sua umiltà e il basso sentire di sé.
Consumato da una malattia non conosciuta affatto, la sua salute andò insensibilmente estinguendosi, finché illuso da un Medico, si indusse recarsi da Tropea a Napoli per averne conforto ed assistenza medica migliore: morì il 7 luglio 1887, in S. Antonio a Tarsia, assistito dai suoi Confratelli, che grandemente lo amavano e ne avevano un’altissima idea del suo sapere.
Contava anni 67 e mesi 2 circa. (Libro delle Messe).

Il Vescovo di Ariano Irpino, Mons. Giuseppe Lojacono, nativo di Tropea, mi scriveva con data 31 ottobre 1932: «Del mio venerato maestro P. Luigi Errico posso dirle che era dottissimo, specialmente nelle discipline filosofiche e matematiche».

Quando, dopo la soppressione, da Tropea si trasferì a Catanzaro, in questa città lo ebbero carissimo i Professori Francesco Fiorentino e Francesco Acri. E questi due filosofi, nelle loro discussioni, si rivolgevano a P. Errico, come a loro maestro, per sentire il suo responso»…
Il Professore della Regia Università di Bologna Francesco Acri, nativo di Catanzaro, scrivendo al Conte Campello, diceva che tornando da Berlino, dove era stato mandato a studiare dal Ministro Francesco De Sanctis, nel portarsi in Patria, passò per Tropea onde visitare il P. Errico, e questi gli domandò dei suoi studi a Berlino e delle filosofie di là, e dei costumi. E conchiudeva dicendo: «Il mio P. Errico, che, pur non essendo asceta era così buono!»

Il P. Savastano poi scriveva che discacciati i Padri da Catanzaro dal Governo Rivoluzionario, si ricoverarono a Tropea, e non avendo testa allo studio per le tante peripezie sofferte per due anni dall’avvenuta Rivoluzione, scherzando si diedero allo studio della Musica.
Ed era veramente piacevole e quasi ridicolo, vedere il P. Errico, quell’uomo sommo col flauto alle labbra, il P. Pepe seduto ad un cembalo, il P. De Feo Giuseppe col violino poggiato alle spalle, ed il P. Falabella colla chitarra francese.
Tutti riuscirono maestri in asineria di musica per il noto adagio: «Chi tardi va in iscuola, resta quel che era», per cui non diedero passo alcuno in avanti, né Pepe, né Falabella, né De Feo, anzi questi per quanto più si esercitava, meno vita cacciava il suo violino; solo il P. Errico fece qualche progresso e faceva ridere nel contempo quando suonando faceva più battute di piedi che dello strumento.
P. Basile, poi Vescovo di Cassano sul Jonio, da valente ritrattista dipinse su tela P. Errico, e perché gli aveva posto nelle mani un numero del giornale «L’Unità Cattolica», fu questo il motivo per cui il P. Errico dovette poi subire il domicilio coatto.

Il Sindaco di Tropea coi Liberali suoi compagni volle mostrarsi fedele esecutore della legge Pica-Crispina, formulando la nota di proscrizione coi nomi di tre nostri Padri: Errico, Falabella, e Di Nonno che fu poi Vescovo di Termoli, e dipingendo i due primi con neri colori.
Siffatta notizia venne all’orecchio dei Padri, che fidenti nel testimonio della propria coscienza vivevano tranquilli sulla propria sorte; quando nella sera del 4 luglio 1866, si sente tirato il laccio del campanello della portineria: vi accorre il Fratello Laico e riferisce al Rettore essere il Sindaco che doveva parlare col Ricevitore del Registro.
Si diede facoltà di aprirlo, e fingendo andare al Ricevitore per altra scala (che la Ricevitoria era istallata nel Collegio), giunto alla porta dello stesso, rivolge i suoi passi, seguito dai Carabinieri, nell’altro corridoio verso di noi, che, adunati ad un finestrone del Collegio, passavano l’ora della ricreazione serale, e domanda chi si fosse il P. Errico, (come non lo conoscesse).
Fattosi innanzi, gli disse doversi unire ai Carabinieri in quella notte, onde partire nel domani per Catanzaro, chiamatovi dal Prefetto.

Trovandosi il Padre in disabbligliè perché estate, cerca del tempo per comporsi, e, seguito dai Padri, dal Sindaco e Carabinieri, va nella stanza per vestirsi e prepararsi l’occorrente.
Fu il P. Errico solo l’eletto a subire gli effetti della legge, e, compostosi, scende accompagnato da tutti nella ferma credenza di doverla passare coi Carabinieri quella notte, quando nell’uscire dalla portineria gli venne ingiunto di seguirli nella «prigione», per cui, rivolto al Superiore, domandò un trapuntino, perché destinato a stare in carcere.
Povero Padre! Tutta la notte la passò svegliato sia per la novità del luogo, e sia più ancora per la gran moltitudine degl’insetti, da molesti compagni, non gli permisero chiudere gli occhi.

Nel domani, 5 luglio, sparsasi la notizia in Tropea, ecco un viavai di tutti i cittadini Tropeani, senza distinzione di classe per tenergli compagnia in quell’orrido luogo, e poiché nel giorno seguente cadeva la festa della Protettrice S. Domenica V. e M. si vedevano arrivare, ad ogni ora, portate di gelati, talché il suo arresto potette ben rassomigliarsi ad un divertimento, tanto che il Maresciallo dei Carabinieri ne montò in furia, imponendo che nessuno vi si potesse accostare, ma senza frutto.
Nel mattino del 6 lo condussero in Monteleone; e per non uscire scortato dai Carabinieri, si ottenne che questi precedessero di alquanti passi la vettura, ove il Padre aveva preso posto.
Di là doveva partire per brigata da una in altra con grande disagio, pernottando sempre nelle rispettive prigioni; ma un giovane di Tropea che per affetto al Padre lo volle accompagnare fino a Catanzaro, ebbe il contento che vi andasse direttamente scortato dai Carabinieri a pagamento.

Verso sera arrivò a Catanzaro, e per tre giorni lo tennero nelle prigioni centrali: dopo di che gli venne assegnato l’antica Città di Taverna per luogo di domicilio coatto.

La notizia dell’arresto e domicilio del Padre commosse la città catanzarese, sicché persone di ogni colore politico si diedero da fare per tutto distruggere ma nulla giovò.
Partì per la sua destinazione, ove trovò una vera villeggiatura per parte di quei Cittadini: ma dopo 15 giorni ne venne richiamato e cambiato per Genova.
Su questo però i Catanzaresi furono più fortunati da ottenere per luogo del suo domicilio quella Città di dove, anni dietro, di notte tempo ne era stato cacciato.
Quattro mesi vi stette, e col finire di ottobre fece ritorno in Tropea in aspettativa dell’ultimo giorno dell’anno, nel quale le Case Religiose dovevano essere lasciate dai Religiosi, dopo aver fatto acquisto dei così detti Diritti Civili.

P. Errico non si mosse da Tropea, si appigionò una casa, ove stette, fino a che malandato assai in salute, ottenne di coabitare coi due Padri ivi rimasti a custodi della Chiesa: Pepe e De Feo.
I suoi mali si accrebbero di giorno in giorno, ma non dismise il suo ministero, e dopo mille alternative, venne a chiudersi la sua carriera mortale in Napoli in S. Antonio a Tarsia, ove assistito, confortato e munito dei SS. Sacramenti, volò al Cielo a riceversi il premio delle sue fatiche, rassegnazione e virtù, come speriamo.

Nel 1853-54, trovandosi di stanza a Materdomini, P. Errico compose la seguente Canzoncina in onore della Madonna della Sanità, che si venera in Caposele dall’anno 1710 circa, e fu musicata dal Maestro Giulio De Ritis:

«Maria del Tempio antico,
Il popolo tuo ti adora:
Oggi tu il salva ancora,
Com’il salvasti un dì.

«Ascolta, o Vergine pia,
Il popolo tuo che geme,
Nostra salvezza e speme,
Madre di Sanità.

[P. Luigi Errico ha composto anche  l’inno alla Madonna di Romania, che oggi ancora si canta in Tropea].

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Profilo tratto da Biografie manoscritte
del P. S. Schiavone –
vol.2 Pagani, Archivio Provinciale Redentorista.
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