Gallo Pio Maria redentorista

P. Pio Maria Gallo (1831-1880) – Italia.

P. Pio Maria Gallo (1831-1880)

Trasse i natali da onesti e civili genitori nel 1831 in un ridente villaggio, chiamato Casalbore, posto in quel versante dei Monti Irpini, che guarda a manca la città di Ariano, ed a destra Benevento.

Fanciullo ancora di pochi anni, fu gelosamente affidato in Napoli alla cura di uno zio Sacerdote assai solerte e rigido per quanto riguardava lo studio ed i costumi.
Quindi estranei a Pio furono i bamboleschi trastulli. L’unico suo divertimento e sollievo si era ergere altarini, formare tempietti e recitar preci. Per l’austera disciplina del prelodato zio e per il carattere docile e mite, che sortito aveva dalla natura, fin d’allora ben dava a conoscere qual sarebbe stato in appresso.

Varcato infatti appena il secondo lustro, chiese e vestì l’abito talare, e si vide tutto dedito alla pietà. Ogni otto giorni si accostava al tribunale della Penitenza ed alla Mensa degli Angeli, ogni giorno recitava con devozione il Rosario alla Madonna, a cui professava una filiale tenerezza. Non uscì mai dal suo labbro, non dico discorso men che puro, ma neanche parola che putisse di mondo.

Non mai usò con compagni, i quali con esempi non buoni avessero potuto menomamente macchiare il candore della sua innocenza.
Si avanzò tanto nella pietà, nel fervore e nel desiderio di farsi santo, che all’età di anni 15, dando un addio al perfido mondo, scrisse il suo nome tra i figli del Liguori, per addivenire uno strenuo soldato di Cristo, ed a tempo opportuno combattere le sue pugne.

Questa vergine pianta adunque, trapiantata in un altro clima più salubre, in un altro terreno più fertile e presso la corrente indeficiente della grazia, oh! quali fiori e frutti di qualsiasi virtù più belli, più odorosi e più abbondanti darà ella mai!

Così avvenne.
Il giovanetto Pio nell’anno della prova, in cui ebbe per guida quel grande maestro di spirito a tutti noto il P. Emmanuele Ribera (oggi Venerabile), e negli anni destinati ad apprendere le scienze oh! il progresso che egli fece nella virtù.
Esclusivamente attendeva all’anima ed allo studio, secondo il consiglio dell’ apostolo: Attende tibi et doctrinae.

Cercava di progredire sempre nella santità e nella scienza per rendersi atto alle opere del ministero. A tale effetto erano rivolti e suoi colloqui, i palpiti, i pensieri, tutti i moti della sua vita, come i raggi di un cerchio al suo centro.
E pur troppo conseguì quanto egli agognava. Non era però la sua una santità romoreggiante e strepitosa, no: ma soda, placida, andante; vale a dire, non si ammiravano in lui cose straordinarie ed insolite.

Egli aveva di continuo tra le mani la Regola del Santo Fondatore, piccola di mole sì, ma quintessenza di evangelica Sapienza, cotanto ammirata da uno dei più grandi Pontefici della Chiesa di Dio, Benedetto XIV.
Quindi perenne studio dell’alunno Pio Maria Gallo fu d’informare il suo spirito alla Regola professata, imprimerla nella mente e nel cuore.
Il che a meraviglia adempiuto, poté con tutta ragione, se non colle parole, col fatto esclamare con l’illustre figliuolo di Ignazio S. Giovanni Bergamans: Mia massima mortificazione è la vita comune: Mea maxima mortificatio est vita communis.
Vita comune, di cui era l’angelo ed il propugnatore; vita comune, che perfettamente osservata, come egli la osservò, vuol dire la pratica di qualsivoglia,virtù; in breve, la vera cristiana perfezione.

Adorno di tanti pregi, il 16 marzo 1855 il buon Pio ascese al Sacerdozio, che di nuove grazie e meriti fregiò la sua bell’anima.

Giunto alla meta a cui da tempo aspirava, non si fermò nel sentiero della santità, ma con più lena lo percorse. Fu più umile di prima: oh! quanto sentiva basso di sé! Se non era richiesto, non dava mai il suo parere.

Più mansueto. Questa virtù era l’indole del suo cuore; talché il P. Superiore di S. Antonio a Tarsia Francesco La Notte soleva chiamarlo per antonomasia l’agnelluzzo. Sempre tranquillo, sempre placido, col sorriso sulle labbra.
Più amante della solitudine e del silenzio . Non l’ho visto mai perder tempo in cicalecci ed in conversazioni inutili. Nella romita sua cella trovava la pace, la gioia, il paradiso.

Più modesto. Non ricordo mai averlo veduto guardare fissamente cosa, che potesse risvegliare idee men che caste. Più austero nel custodire l’angelico candore. Credo con fondamento, che il aacerdote Pio Maria Gallo non abbia giammai macchiata gravemente la sua bell’anima.
Più solerte nell’adempimento dei professati doveri. Non si fece mai lecito esentarsi dalle prescritte preci, orazioni e spirituali letture.
Più paziente. Dal Sacerdozio in poi fu sempre afflitto da quel terribile morbo, che infine gli diè la morte; e pure mai gli uscì dal labbro voce di lamento. Quando si sentiva più tormentato e sfinito di forze, alzava lo sguardo ad una immagine di Maria o di Gesù Crocifisso, esclamando: Sia fatta la volontà di Dio, e ben tosto la rassegnazione gli raggiava in sulla fronte .
Più ubbidiente. Non ostante gli acciacchi, erano estranee a lui le scuse e le rimostranze. Il superiore non vedevasi costretto a ripetergli la seconda volta un comando. Era il primo e sempre pronto nell’osservanza della Regola, senza alcun riguardo di sé e della  sua malandata salute.
Più raccolto nello spirito. Il suo labbro di tratto in tratto aprivasi a brevi, ma ferventi giaculatorie ed aspirazioni amorose. La presenza di Dio gli era sempre innanzi gli occhi.
Più amante della santa povertà. La sua cella e le sue vesti erano povere, ma polite, indice della nettezza dell’anima. Per non offendere questa divina virtù, nel rivolgimento delle cose non s’indusse punto a smettere gli antichi e indossare altri abiti più fini. Alieno sempre di ogni innovazione, baciava con affetto e tenerezza le ruvide lane del Liguori, che gli recavano diletto ed onore.

Ma non la finirei giammai, se tutte volessi enumerare le sue virtù. Non posso però omettere quel che era il suo più nobile distintivo: vale a dire, l’ardente zelo che lo divorava.
Consacrato appena Sacerdote, gongolò di santa gioia, vedendosi già introdotto in quel campo di battaglia, a cui da lunga stagione mirava con ansia febbrile.

In qualità di missionario eccolo tutto fuoco a combattere i combattimenti del Signore. Nelle missioni e nei santi spirituali esercizi, avvalorato dalla viva fiamma dell’amore di Dio, che animava il suo cuore, faceva sforzi superiori al debole e malaticcio suo corpo; il che era di ammirazione a tutti, e di santo stimolo ai suoi coetanei. Infaticabile nel sacro ministero, vedevasi il primo a mettersi al lavoro, e l’ultimo a levarsi.

Mostravasi più lieto, allorché uffizi più laboriosi alla sua cura affidavansi. Nelle guerre del Signore egli brillava ove più ferveva la mischia. Con dolcezza e bontà tutta propria stringevasi al petto, e rimetteva nel sentiero del retto i peccatori più perversi, i quali traevano a lui come ad un Santo inebriati dall’odore di sue virtù, e feriti nel cuore dalla parola di vita, che partiva dall’infocato suo petto.

Parola di vita, che per lui operava meraviglie, perché secondo il Vangelo, semplice, chiara, solida, toccante e piena di forza. Il suo dire (che gioverebbe esagerare?) non aveva concetti alti e pellegrini, ma giusti, ordinati e netti. Non abbagliava le menti con isplendide figure, non gettava fulgidi lampi; ma non gli mancava quella luce modesta e cheta, che meglio rischiara, e più consola.
In breve, la sua predicazione era tale, quale la prescrive il nostro S. Fondatore e Dottore della Chiesa Alfonso Liguori, diretta non a far pompa di se, ma unicamente ad illuminare le menti ottenebrate ed a muovere i cuori induriti.
Sopratutto ammiravasi la sua parola, quando egli annunziava le glorie di Maria. Oh quanto era dolce e soave! Gli ascoltatori sentivansi ricreare il cuore, ed infondere nell’anima una esquisita tenerezza per la Regina del Paradiso. Dico il vero, io non mai mi tediava di udirlo. Mi pareva un ardentissimo amante, che nell’effervescenza dell’amore parlava di Maria, e sovente le sue delicate parole mi facevano scaturire abbondanti lacrime.

Era un figlio affettuosissimo, e riconoscentissimo, che raccontava a tutti i pregi della Celeste sua Madre, perché tutti la riverissero ed amassero, come Egli la riveriva ed amava. Era un cervo ferito dall’amore di Maria, che portava sempre fitta nel cuore la freccia divina, con cui feriva ed accendeva i cuori più restii.

Questo ardente amore però, che egli nutriva per la Madre di Dio, si manifestò sempre più in lui nell’onorarla e farla onorare sotto il titolo della Madonna del Perpetuo Soccorso. Che non fece per propagare la sua devozione? A lui questa cura fu affidata dal Superiore, ed egli con indicibile gioia accettò sposando per essa ogni impegno, ogni sollecitudine, tutto l’impeto dell’infiammato suo cuore.

Per la sua solerzia in pochi mesi il numero degli aggregati alla «Madonna del Perpetuo Soccorso» passò la cifra di mille. Riserbò a se il predicare le sue grandezze, e lo faceva colla dolcezza, coll’affetto e col fervore di un Santo.

Ma l’apostolico zelo non è limitato nei suoi effetti. Esso spande da per tutto le sue fiamme, e dove trova miserie di qualsiasi specie, ivi brucia, ivi mostra la sua divina attività. Tutto ciò ch’è in afflizione e in pena, tutto ciò che geme o è in pericolo, tutto ciò ch’è abbandonato dal mondo, forma le sue delizie. Per tanto il Liguorino Pio Maria Gallo, acceso di questo santo zelo, non ne restrinse l’eroismo nel tribunale della penitenza, nelle missioni, negli spirituali esercizi ed in altro genere di predicazione; ma lo estese altresì al conforto del delinquente nelle prigioni.

Il Superiore lo destinava al carcere dei «Minorenni» nell’ex Convento di S. Antonio a Tarsia. Quantunque egli sapesse che un tal peso non potevasi sostenere dalle affrante sue forze, pure facendo un sacrificio della sua vita al Signore, l’accettava come dalle mani di Dio senza rimostranza di sorta.

E qui era d’uopo osservare il P. Pio Maria Gallo. Quante forme sa prendere la carità e lo zelo? Egli le faceva tutte sue per attirarsi quei cuori, sulle prime riottosi. Tali e tante industrie sante usava, da renderseli affettuosi ed amici. Riuscito a padroneggiarli, se ne veniva pian piano all’altissimo scopo, per cui la Provvidenza colà lo aveva chiamato. Con pazienza e carità tale, che toccava l’eroismo, saper così bene imboccar loro il Catechismo ed i doveri di un buon Cristiano e cittadino, che in pochi giorni da esseri quasi imbruttiti li rendeva veri uomini, veri cristiani; li istruiva, amministrava loro il Sacramento della penitenza e quello della S. Eucaristia, faceva rinascere la speranza nei loro  cuori induriti.

Quindi quei giovanetti, che privi di genitori o abbandonati da loro, trascinati da mali esempi e da malnate passioni, non conoscevano Dio che per bestemmiarlo, né divina legge se non per infrangerla, uscivano dal carcere di Tarsia migliorati, ricreduti, istruiti nei loro doveri, ringraziando Dio ed il loro benefattore.

Or questo fiore così gentile ed odoroso di virtù, questa pianta ricca di foglie e di frutti di sante opere, non più nel mistico giardino della Chiesa militante, ma era giunto il tempo in cui doveva far pompa in quella della Chiesa trionfante.

Quindi il P. Pio Maria Gallo, consumato da un morbo micidiale, che da più anni lo martoriava, ed a cui aggiungevano esca ed alimento le fatiche e gli sforzi non confacenti al suo estenuantissimo frale, da strenuo soldato di Cristo, colle armi in pugno, vale a dire lavorando nella vigna di Gesù fin quasi alla vigilia della sua morte, cibandosi ogni giorno dell’Eucaristico Pane durante l’ultima sua infermità, con uno spirito di perfetta rassegnazione cristiana, si addormentò nel bacio del Signore il dì 2 maggio 1880 nella sua terra natia, ove da pochi giorni si trovava a respirare, per comando dei Medici, quell’aria pura, e più ad esercitare il proprio ministero, chiamato in aiuto da due degni Sacerdoti napoletani, che ivi con molto profitto delle anime predicavano.

Ed eccolo giunto alla meta, cui anelava con caldi sospiri; eccolo congiunto eternamente a Gesù ed a Maria, pei quali solamente palpitò il suo cuore qui in terra; eccolo… ma per l’affetto mi vien meno l’animo.

O Pio, io ti credo un Santo in Paradiso, perché degno figlio di S. Alfonso. Deh! prega per me Gesù e Maria, che alla svelata contempli; per me, che tu in preferenza amavi.
Prega per tutti i tuoi Confratelli, che caldamente ti piangono; pei tuoi congiunti… pei tuoi conoscenti ed amici, per quelli in fine che così bene dirigevi nello spirito, nella cui mente è indelebile la tua memoria; affinché un giorno, mercé la tua preghiera, ci ricongiungiamo in Cielo a godere e lodare Dio in eterno.
Sì, anima bella, prega per tutti, mentre noi ammiratori delle tue virtù, deponiamo sulla tua tomba un umile serto di poetici fiori, piccolo pegno dell’affetto dei nostri cuori.

(Necrologio detto da P. Francesco Mariano C. SS. R.)

Nel Catalogo si legge: Nacque l’11 luglio 1831. Professò ai 24 agosto 1848. Si ordinò Sacerdote il 16 febbraio 1856. Morì in Casalbore, sua patria, il 2 maggio 1880.

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Profilo tratto da Biografie manoscritte
del P. S. Schiavone –
vol.2 Pagani, Archivio Provinciale Redentorista.
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Casalbore, comune in provincia di Avellino a 620 metri sul livello del mare, fu la patri del P. Pio Maria Gallo, redentorista molto stimato e amato.
Casalbore, comune in provincia di Avellino a 620 metri sul livello del mare, fu la patri del P. Pio Maria Gallo, redentorista molto stimato e amato.

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