Il giudizio del mondo non conta

18. Il giudizio del mondo non conta (rispetto umano /4)
Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce! (Mt 27,40)

Chi ama Dio e vuol salvarsi, deve disprezzare il mondo e ogni rispetto umano; e ognuno, in ciò, deve farsi forza.
Santa Maria Maddalena, quando in un convito, alla presenza di tanta gente, andò a gettarsi ai piedi di Gesù, lavandoli con le sue lacrime ed asciugandoli con i suoi capelli, dovette farsi molto forza per vincere il rispetto umano, le mormorazioni e le derisioni del mondo. Così, però, si fece santa e meritò che Gesù la perdonasse, anzi la lodasse per il suo grande amore: Le sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato (Lc 4,47).

Un giorno san Francesco Borgia (1), mentre stava portando ai carcerati una pignatta di brodo che teneva sotto il mantello, sulla via s’incontrò con il figlio che andava pomposamente a cavallo, in compagnia di altri. Il santo si vergognava di far vedere quello che portava. Allora, per vincere quel rispetto umano, che fece? Si tolse la pignatta di sotto il mantello e se la pose sulla testa: e così si burlò del mondo.

Gesù, nostro capo e maestro, mentre stava sulla croce, era deriso dai soldati: Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce! (Mt 27,40) e dai sacerdoti: Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso! (ivi, v. 42). Però egli non scese dalla croce, ma rimase con forza attaccato ad essa fino alla morte. E così vinse il mondo.
Cerchiamo di fare ciò che piace a Dio, e basta
San Girolamo ringraziava Dio per averlo fatto degno di essere odiato dal mondo: “Ringrazio il mio Dio, se sono degno che il mondo mi odi (2). Infatti Gesù ha chiamato beati i suoi discepoli, quando gli uomini li avrebbero odiati (cf. Lc 6,22).

Cristiani miei, consoliamoci: se da una parte gli uomini del mondo ci maledicono e ci coprono d’insulti, dall’altra Dio ci loda e ci benedice: Essi maledicono, ma tu benedici (Sal 108,28 Vg). Non ci basta forse essere lodati da Dio, dalla Regina del cielo, dagli angeli, dai santi e dagli uomini onesti e giusti? Lasciamo dunque che i mondani dicano quello che vogliono, e continuiamo a fare ciò che piace a Dio, il quale poi ci premierà nell’altra vita, se sapremo farci violenza nel disprezzare le contraddizioni degli uomini.
Ognuno deve comportarsi come se nel mondo ci fossero soltanto lui e Dio. Quando i cattivi ci prendono in giro, raccomandiamoli a Dio come poveri ciechi che rischiano di perdersi. Riguardo a noi, invece, ringraziamo il Signore che ci dà luce per capire, e proseguiamo il nostro cammino. Bisogna vincere tutto, per ottenere il tutto. (SC, XXVII, 9-10)


[1] Francesco Borgia (1510-1572), gesuita spagnolo. Il cognome richiama nomi tristemente famosi nella storia, come il Papa Alessandro VI, Lucrezia e Cesare Borgia. San F. era di questa famiglia, ma di altra pasta. Si sposò molto giovane con Leonora di Castro, dalla quale ebbe otto figli e fece una brillante carriera politica, godendo i favori dell’Imperatore Carlo V e dell’Imperatrice Isabella. Dopo la morte della moglie (1546), lasciò tutto ed entrò nella Compagnia di Gesù, della quale diventò il terzo Superiore generale.

[2] dalla Lettera ad Asella: una delle ragazze che frequentavano il cenacolo ascetico di Roma (cf. meditazione V-47). Di san Girolamo ci sono rimaste 125 lettere, scritte a persone di ogni categoria (vergini, vedove, laici, monaci, sacerdoti, vescovi e papi). Molte di esse hanno un carattere spiccatamente ascetico. San Girolamo (Stridone in Dalmazia, c. 342 – Betlemme 420), sacerdote e dottore della Chiesa. “Fornito di una vastissima cultura letteraria e biblica, mise i suoi talenti al servizio del papa Damaso. Trascorsi gli ultimi 35 anni a Betlemme nella preghiera, nella penitenza, nella guida di cenacoli di vita ascetica e monastica. Consapevole che l’ignoranza delle scrittura è ignoranza di Cristo, si dedicò alla traduzione della Bibbia dai testi originali e alla revisione dell’antica versione latina. I testi da lui elaborati (Volgata) entrarono nell’uso liturgico della Chiesa latina”. (Messale Romano in italiano, II ediz. 1983, pp. 591-592).