Immunità ecclesiastica violata

Il cammino del vescovo Alfonso Maria de Liguori: 1762-1775.
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. Immunità ecclesiastica violata

Immunità ecclesiastica violata
Celebre è rimasto nella biografia episcopale di S. Alfonso un caso di violazione dell’immunità ecclesiastica, che a quell’epoca conservava tutto il suo vigore secondo lo spirito del Concordato esistente tra Napoli e Roma. Il fatto rimonta al 1770 e accadde in Arienzo.
I birri si scontrarono in un povero diavolo che masticava tabacco. Fermatolo, gl’ingiunsero che l’avesse cavato di bocca per esaminare se era materia di contrabbando. Non potendo sottrarsi alle loro grinfie, lesto l’inghiottì.
I tutori del fisco, avendo perduto il corpo del delitto, lo bastonarono, e già apparecchiavano gli ordigni per menarlo in trappola ammanettato. Ma quello con uno strattone sgusciò come un gatto, si infilò in un abbaino e andò ad appollaiarsi sul tetto della chiesa.
Si credeva lì sicuro, come una statua nella sua nicchia. Ma i gendarmi, fremendo, scalarono il muro ed acciuffato il delinquente, che si appellava al diritto sacrosanto di asilo, se lo trascinarono in prigione, bestemmiando come dannati.
S. Alfonso, conosciuto il fatto, scartabellò il Concordato concluso il 2 giugno 1741 tra Benedetto XIV e Carlo III. Rilesse attentamente i 35 paragrafi del capo II circa l’immunità locale e trasse da giurista la conseguenza dell’aperta violazione, per cui si vedeva tirato per i capelli ad agire contro il magistrato secolare.
Mandò il maestro di casa a reclamare la restituzione del carcerato dal commissario che lo ricusò rotondamente.
Il Santo, convocato d’urgenza Mons. Rubino, suo Vicario, non potè reprimere uno scatto, intimandogli eccitato: “Incominciate a stendere il Cedolone: si tratta d’immunità. Se bisogna, mi venderò la mitra”.
Lo sdegno lampeggiò impetuosamente nel cielo sereno del suo temperamento. Non era disposto a subire la violenza a nessuna condizione per il rispetto della religione.
Il Cedolone faceva tremare le vene e i polsi persino ai governatori regalisti più accesi. Il cartello conteneva la pubblicazione della scomunica inflitta dal vescovo e si affiggeva alle porte delle chiese.
Il commissario all’odore della censura fulminata si impaurì e rispose che tutto si sarebbe accomodato secondo le leggi. Monsignore non si acquietò alle promesse verbali ed insistette per la scarcerazione immediata.
Solo quando scorse nella sua camera libero ed esente da ogni pena il disgraziato, desistette dal procedimento, buttando nel cestino le bozze del Cedolone.
(Oreste Gregorio in Monsignore si diverte, pp. 56-57).

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Galleria di statue di S. Alfonso vescovo
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Busto di S. Alfonso in Roma, Casa dei Redentoristi in Via Merulana.

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Particolare della statua di S. Alfonso nella chiesa di Villa Liberi (CE).