Imparare dai martiri

26. Imparare dai martiri
Chi non ama rimane nella morte (1Gv 3,14).

A questo punto giova ricordare un’osservazione di sant’ Agostino: che il martirio non dipende dai dolori che uno soffre, ma dal motivo per cui soffre.
Più tardi san Tommaso insegna che il vero martirio consiste nell’affrontare la morte per virtù. Ne consegue che ha il merito di martire non solo chi dà la vita per la fede, ucciso dai carnefici, ma anche chi accetta la morte per adempiere la volontà di Dio e per amore suo.
Questo è il più grande atto di virtù, perché è sacrificare tutto se stessi all’amore divino (1). E dal momento che tutti dobbiamo pagare il debito della morte, procuriamo, nell’orazione, di accettare volentieri la morte in adempimento della volontà di Dio, quando egli ci chiamerà a lasciare questo mondo. Ogni volta che lo si fa con vero spirito, si guadagna un merito simile a quello che ebbero i martiri nel dare la vita per Gesù Cristo. […]

Dai martiri s’impara a ricorrere subito a Dio, quando ci sentiamo deboli e incapaci di sopportare con pazienza una prova più dura, una perdita più sentita o un’infermità più dolorosa. Così facevano i martiri: quando il dolore era più acuto, moltiplicavano le preghiere; il Signore li soccorreva, e così divenivano vincitori. […] Quando ci manca la forza di resistere alle tribolazioni o alle tentazioni, dobbiamo perseverare nel pregare e nel ricorrere al Signore. Questo ci ottiene la salvezza.

Soprattutto s’impara ad amare Dio e, in ciò, sta la nostra salvezza: Chi non ama rimane nella morte (1Gv 3,14). Il nostro amore per il Signore si dimostra più con il patire molto per suo amore che con l’operare molto per la sua gloria. I santi martiri hanno dimostrato di amare Dio soffrendo tanto. […] I martiri soffrivano per amore del Signore non perché fossero stupidi o insensibili al dolore, ma perché stimavano un guadagno il soffrire e il morire per Cristo, a motivo del loro grande amore verso di lui.

Quale grande lezione! I supplizi e le barbarie subite dai martiri ci fanno vergognare per quelle volte che noi ci lamentiamo nelle tribolazioni della vita, e ci danno il coraggio di accettarle in pace (2).
(da Vittorie dei Martiri, II, 24-26).


[1] Tesi rilevante e suggestiva di sant’Alfonso, pensiero forte e consolante che viene ribadito nella meditazione seguente e che ritorna più volte nelle sue opere ascetiche. Valga, una per tutte, questa citazione: “Chi offre a Dio la sua morte, fa un atto di amore il più perfetto che si possa fare verso Dio, perché, abbracciando volentieri la morte che piace a Dio, nel tempo e nel modo che vuole Dio, egli si rende simile ai martiri” (Apparecchio alla morte, IX, 3).

[2] Il tema del martirio ricorre più volte nei documenti del Concilio Vaticano II e, attualmente, nel magistero del papa Giovanni Paolo II. Nella Lettera apostolica sulla preparazione al giubileo del 2000, egli, esortando i cristiani a dare coraggiosa testimonianza della verità, scrive: “La Chiesa del primo millennio nacque dal sangue dei martiri. Gli eventi storici legati alla figura di Costantino il Grande non avrebbero mai potuto garantire uno sviluppo della Chiesa quale si verificò nel primo millennio, se non fosse stato per quella seminagione e per quel patrimonio di santità che caratterizzarono le prime generazioni cristiane. Al termine del secondo millennio, la Chiesa è diventata nuovamente Chiesa di martiri…” (Tertio millennio adveniente, n. 37)