S. Alfonso retore

Un umanista del ‘700 italiano – Alfonso Maria de Liguori
9. S. Alfonso retore

Indice
1. Maestro di eloquenza
2. Teoria e pratica
3. Il “sugoso ristretto della rettorica”
4. Il successo
5. Avvertimenti ai Predicatori 

1. Maestro di eloquenza
Gli storici della letteratura affermano che l’eloquenza sacra italiana non è mai stata somma tanto per arte espressiva quanto per contenuto. È un giudizio poco lusinghiero, ma sostanzialmente esatto.

L’oratoria sacra in Italia, nonostante tutto e anche senza grandi scuole, ha avuto in ogni secolo straordinarie figure, rappresentative, se non proprio di correnti, almeno di momenti. E sant’Alfonso, nel suo secolo di poesia e di prosa sdilinguite, ha dato a questa disciplina un contributo notevole con la sua eloquenza: chiara; semplice; severa; ordinata per punti e con procedimenti logici; ricca di riferimenti ai Padri della Chiesa; tutta permeata di s. Scrittura; popolare, cioè adattata, di volta in volta, alla cultura — o alla “non-cultura” dell’uditorio.

Parlando di sant’Alfonso, possiamo dire che egli — pur non avendo mai insegnato, almeno in senso scolastico, l’arte oratoria — è rètore, sia nel senso più immediato di maestro di eloquenza, che ha dettato .precise e dettagliate regole per un annuncio pienamente salutare della Parola, sia per quelle novità di forma e di contenuto della sua predicazione, di cui la Chiesa del secolo XVIII aveva urgente necessità, anche se non tutti se ne rendevano conto. Egli tanto è stato pronto ad intuire, insieme al prete Ludovico Antonio Muratori, questa esigenza di cambiamento quanto è stato deciso nell’impegnarcisi. 

2. Teoria e pratica
Dalle note, pur tanto minuziose, del suo primo biografo non risulta che Alfonso abbia studiato retorica. Ma siccome questa disciplina era prevista dalla ratio studiorum del tempo, tale applicazione è da ritenere certa: l’arte del parlare faceva parte del corso umanistico. Inoltre, tante volte e in varie occasioni, non soltanto mostra di conoscerla applicandone i principi, ma anche perché di essa ha scritto un prezioso trattatello, che lui stesso definisce un sugoso ristretto della rettorica, nel quale, oltre alle sue personali intuizioni, inserisce i nuovi insegnamenti che, sull’argomento, si andavano proponendo in campo nazionale.

Le sue teorie sull’oratoria, le troviamo esposte in modo organico nella Selva di materie predicabili ed istruttive per dare gli esercizi ai preti (del 1760), nella Lettera a un Religioso amico, ove si tratta del modo di predicare all’apostolica (del 1761), un opuscolo ancor oggi tutto da leggere, dall’autore giudicato. «un’operetta singolare, non fatta prima da altro autore»; nella Lettera a un vescovo novello sul grande utile delle missioni (1771); negli Avvertimenti all’istruttore, premessi all’Istruzione al popolo sopra i precetti del Decalogo per bene osservarli e sopra i sacramenti per ben riceverli (1767); negli Avvertimenti necessari a premettere, posti all’inizio dei Discorsi morali o sia Sermoni compendiati per tutte le domeniche dell’anno (1771); in alcune lettere circolari ai suoi confratelli; in quella indirizzata a don Luigi Capuano, suo compagno, il 7 settembre 1773; nelle Regole e Costituzioni C. Ss. R.

Modelli e abbozzi di prediche secondo il suo metodo, li abbiamo principalmente nella Selva, nei Sermoni compendiati, nell’Istruzione al popolo. Ma sono tante le opere alfonsiane scritte con lo scopo di presentare materiale da utilizzare per la compilazione di discorsi. Ricordiamo: Nove discorsi da farsi in occasione di flagelli; Undici discorsi per la novena del S. Natale; e perfino l’Apparecchio alla morte.

Con queste opere, di proposito offre ai predicatori non sermoni compiuti da memorizzare e recitare, ma schemi da vivificare e personalizzare per poi passare alla compilazione vera e propria della predica, dove l’oratore si realizza nella libera creatività, nella propria preparazione culturale e dottrinale, adattandosi, di volta in volta, alle diverse capacità recettive degli ascoltatori.

Da ciò si deduce che la ricerca della semplicità a tutti i costi, di cui s’è già parlato, non significa superficialità o improvvisazione. Tutt’altro: una prosa piana ed essenziale è frutto di assiduo lavoro e di costante controllo. Per Alfonso, il rispetto della Parola esige estese letture, studio intenso, elaborazioni faticose, purezza di lingua, oltre alla trasparenza del linguaggio. Il discorso deve risplendere per compostezza e decoro. 

3. Il “sugoso ristretto della rettorica”
Con questa significativa espressione il de Liguori indica il contenuto del capitolo VII degli Esercizi di missione, che costituiscono la terza parte della Selva.

Dalla lettura del “ristretto” ci si può fare l’idea della complessità della materia e della meticolosità dell’autore nel guidare l’oratore alla “cura” del sermone, sia in fase di preparazione, sia nello svolgimento delle varie parti, sia nella “elocuzione”.
Data la sua ampiezza non è possibile ripresentare qui il testo. Non vogliamo però privare il lettore del quadro d’insieme, nel quale i “precetti rettorici” appaiono in tutta la loro tecnicità fin nei minimi dettagli. Allo scopo offriamo, in maniera schematica, l’intero spettro della trattazione, rinviando il lettore ad un contatto più immediato con il testo.

Il cap. VII inizia così: «Tratteremo distintamente delle tre parti che debbono principalmente attendersi, secondo i rettorici, per ben formare l’orazione, o sia predica; onde parleremo per 1. dell’invenzione, per 2. della disposizione e per 3. dell’elocuzione».
Quanto all’invenzione, o sia selva per formare la predica, «la rettorica c’insegna i luoghi da cui, come da certe fonti, si traggono le prove della predica. Questi luoghi altri si chiamano comuni, altri particolari». A loro volta i luoghi comuni sono interiori ed esteriori.
I luoghi comuni interiori sono quindici: la definizione; la notazione, o sia etimologia; la numerazione delle parti; le parole coniugate; il genere; la specie; la comparazione e similitudine; la dissimiglianza; la cagione (efficiente, finale, formale, materiale); l’effetto; i contrari (avversi, privativi, contraddicenti, ripugnanti); gli antecedenti; i conseguenti; i relativi; gli aggiunti («che sono le circostanze, contenute in quel notissimo verso: Quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando»).
I luoghi comuni esteriori: S. Scrittura, Tradizione e Concili, Teologia scolastica, Testi canonici e Decreti pontifici, la Storia: «con addurre specialmente i fatti della Scrittura».

Della disposizione delle parti proprie della predica. «Le parti della predica sono nove, cioè: esordio, proposizione, divisione, introduzione, prova, confutazione, epilogo, amplificazione o sia moralità, e mozione degli affetti. Ma tutte queste si ri ducono a tre parti principali. cioè all’esordio, alla prova e alla perorazione».
Dell’esordio. «Può cavarsi da innumerabili fonti; ma notiamo qui i fonti più principali: ex visceribus causae; ab opinione sive iudicio; a contrario; ab exemplo; ab expositione; ex abundanti; ex adiunctis; ex abrupto. Le parti dell’esordio sono sette, secondo s’assegnano da’ rettorici: introduzione; proposizione generale o sia d’assunto; confermazione; reddizione; complessione; proposizione particolare; divisione».

Delle prove e del modo di servirsene. «In quanto alle prove, bisogna intendere che il corpo del discorso dee esser composto dalle prove della proposizione principale; e perciò il discorso, affin di persuadere gli uditori, dee aver la forma di un perfetto raziocinio, non già a modo di logici, ma d’oratori, cioè in modo più chiaro e disteso. Le varie forme d’argomentare de’ rettorici sono: il sillogismo; l’entimema; il dilemma; l’induzione; la sorite; l’esempio. Si parla anche di passaggi o transizioni; di amplificazione, reale e verbale».

Dopo le prove segue la confutazione delle ragioni che possono addursi in contrario. I modi di confutare sono: colla negazione; colla contenzione; colla dissimulazione; coll’opporre agli avversari altre difficoltà maggiori; col disprezzare le ragioni contrarie; col controsillogismo, cioè ritorcendo l’argomento.

Della perorazione. Tre sono le parti della perorazione o sia conclusione, cioè l’epilogo; la moralità; la mozione degli affetti.

Dell’elocuzione. Il paragrafo tratta dell’eleganza, della composizione e della dignità del discorso. Ma anche sull’elocuzione vogliamo riferire, sempre in maniera schematica, gli accorgimenti tecnici dettati dalla retorica. Riguardano in particolare la dignità dell’elocuzione. Questa dignità «si ha dall’uso de’ tropi e delle figure».
I tropi principali sono sei: metafora; allegoria; ironia; iperbole; antonomasia; metonimia.
Le figure sono di due tipi: delle parole e delle sentenze.
Le figure delle parole possono essere per additionem o sia per aggiunzione (anafora; epifora; simploche, o sia complessione; anadiplosi, o sia congeminazione; polyptoton, o sia tra-. , dizione; climax, o sia gradazione); per detractionem (asyntheton, o sia disgiunzione o dissoluzione; sinecdoche, o sia comprensione o intellezione; aposiopesi, o sia ellipsi, cioè omissione e reticenza); per similitudinem (paranomasia, o sia annominazione o alliterazione; omocoptoton, che dicesi da’ latini “similiter cadens”; omoteleuton, che dicesi “similiter desinens”; isocolon, o sia “compar”; epanortosi, o sia correzione; antitesi, o sia contrapposto.

Le figure di sentenze. Sono di tre specie: per insegnare (definizione; distribuzione delle parti; occupazione, detta dai greci “prolepsin”; la concessione, detta “paromologia”; la sospensione, detta “hypomene”; preterizione, detta “paralepsyn”; il paradosso, o vero inopinato); per dilettare (l’apostrofo, o sia conversione; l’ipotiposi, o sia descrizione; la prosopopeia, o sia conformazione; la perifrasi. o sia circolocuzione; il dialogismo; per muovere gli affetti (l’interrogazione, o sia erotesi; la subiezione, o sia antifora; la esclamazione, o sia efonesi; l’epifonema, o sia epifonesi; la dubitazione, detta “aporia”; la licenza, o sia la libertà, detta “parresia”; la deprecazione; la commiserazione; la riprensione).

Della memoria, pronunziazione e gesto. Il discorso va tutto finalizzato all’ascolto; il quale non va inteso solamente nel significato di udire, ma soprattutto in senso psicologico: far proprie e vivere certe realtà, per certe motivazioni, dette in un determinato modo. Di qui la necessità di una sicurezza di eloquio, di una gestualità congeniale e di una modulazione di voce sensibile, vivace, duttile, pieghevole ad ogni sentimento e per ogni tipo di predica.

A proposito della “pronunziazione” attiriamo l’attenzione sul “terzo tuono”: esso consiste nel «pronunziar le parole con voce alta e con prolungar le penultime sillabe, specialmente nelle ultime parole de’ membri del periodo». Secondo gli studiosi il “terzo tuono” richiamerebbe il numerus e le clausulae che ritmavano i discorsi degli antichi oratori greci e latini. In uso fino a pochi decenni fa presso i redentoristi napoletani, il “terzo tuono” e il “tonetto” oggi sono praticamente abbandonati. 

4. Il successo
Nell’arte così difficile e così urgente di proporre al cuore e all’intelligenza del popolo la festosa notizia della Redenzione operata da Cristo per ogni uomo, l’oratoria alfonsiana — fatte le necessarie riserve dovute al tempo resta un modello di eloquenza nello spirito del Vangelo e nella tradizione cattolica. Per le novità, la praticità e gli effetti, il successo, data anche la distinta personalità dell’autore, è stato prepotente. Si può dire che il de Liguori è stato un maestro esemplare di oratoria perché a lui, per un paio di secoli, hanno guardato e si sono ispirati tutti coloro che avevano a cuore la proclamazione sincera della Parola di Dio.

I “precetti rettorici”, consegnati soprattutto nel “sugoso ristretto”, stanno alla base dell’arte oratoria alfonsiana. Se nel loro tecnicismo essi sembrano lontani dalla sensibilità moderna, aperta alla spontaneità e alle sperimentazioni più varie, ci danno tuttavia la misura della formazione umanistica integrale del santo napoletano. Occorreva dunque parlarne in sede storico letteraria.

Riproporre all’attenzione degli studiosi, e soprattutto dei preti, le teorie alfonsiane sulla predicazione, non vuol dire soltanto far conoscere pure questo aspetto della personalità del santo, ma anche suscitare una ulteriore ricerca e riflessione sull’impegno e sulle modalità dell’annuncio evangelico al mondo di oggi.
Il “sugoso ristretto” che abbiamo sintetizzato al massimo, le pagine antologiche, che seguono, possono essere uno stimolo per gli operatori pastorali a rifiutare l’improvvisazione e le troppe usuali prediche a braccio. Potranno entusiasmare nella cura e nel rispetto di quella Parola, di cui sono i primi servitori, impegnandoli a trasmetterla con arte e competenza, con i mezzi più idonei e convenienti. 

5. Avvertimenti ai Predicatori
Sant’Alfonso premise ai Sermoni compendiati un buon numero di consigli sul fine della predicazione e i mezzi per raggiungerlo; le disposizioni interne dei predicatori; gli argomenti dei sermoni; le tecniche di preparazione; lo stile; la regolazione della voce e del gesto; la durata della predica. Un invito pressante viene rivolto ai giovani preti: evitare le prediche a braccio.

Il testo completo degli Avvertimenti si può leggere in Opere Ascetiche, Torino 1847, III, pp. 337-343.  
Apri l’opera “Avvertimenti ai Predicatori”

Apri la “SELVA” – PARTE TERZA – DEGLI ESERCIZJ DI MISSIONE – CAP. VII “Della predica”, che forma il ristretto della rettorica.