S. Alfonso. Un Messia che non ti aspetti

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109. S. Alfonso. Un Messia che non ti aspetti.

Pagine Alfonsiane sulla Misericordia

109. S. Alfonso. Un Messia che non ti aspetti.

♦ Pecca Adamo, si ribella da Dio, ed essendo egli il primo uomo progenitore di tutti gli uomini, resta esso perduto con tutto il genere umano.
L’ingiuria fu fatta a Dio, onde non poteva né Adamo né gli altri uomini con tutti i sacrifici, anche delle loro vite che avessero offerte, dare una degna soddisfazione alla divina Maestà offesa; per renderla appieno placata, bisognava che una persona divina soddisfacesse la divina giustizia.

♦ Ed ecco il Figlio di Dio, che mosso a compassione degli uomini, spinto dalle viscere della sua misericordia, si offrì a prender carne umana ed a morire per gli uomini, per dare così a Dio una compita soddisfazione per tutti i loro peccati ed ottenere ad essi la divina grazia perduta.
Venne già l’amoroso Redentore in questa terra, e volle, col farsi uomo, dar rimedio a tutti i danni che il peccato aveva recati agli uomini. Pertanto volle non solo con i suoi ammaestramenti, ma anche con gli esempi della sua santa vita, indurre gli uomini ad osservare i divini precetti e così acquistarsi essi la vita eterna. A questo fine rinunziò Gesù Cristo a tutti gli onori, le delizie e le ricchezze che poteva godere in questa terra e che gli spettavano come Signore del mondo, e scelse una vita umile, povera e tribolata, sino a morir di dolore su di una croce.

♦ Fu inganno dei Giudei il pensare che il Messia doveva venire in terra a trionfare di tutti i nemici colla forza delle armi, e, dopo averli debellati ed acquistato il dominio di tutta la terra, dovesse rendere opulenti e gloriosi i suoi seguaci. Ma se il Messia fosse stato come i Giudei se lo figuravano, principe trionfante ed onorato da tutti gli uomini qual sovrano di tutta la terra, egli non sarebbe stato quel Redentore da Dio promesso e predetto dai profeti. Ciò ben lo dichiarò esso medesimo, quando rispose a Pilato: Il mio regno non è di questo mondo (Gv. 18, 36). Onde scrisse S. Fulgenzio, riprendendo Erode perché tanto temesse di esser privato del regno dal Salvatore, che era venuto non a vincere i re con la guerra, ma a guadagnarli con la sua morte.

♦ Due furono gli inganni dei Giudei circa il Redentore che aspettavano:
il primo fu che quanto predissero i profeti dei beni spirituali ed eterni, dei quali il Messia doveva arricchire il suo popolo, essi vollero intenderlo dei beni terreni e temporali. Ecco i beni promessi dal Redentore, la fede, la scienza delle virtù, il santo timore: queste furono le ricchezze della salute promesse. Inoltre egli promise che avrebbe recata la medicina ai penitenti, il perdono ai peccatori e la libertà ai prigionieri del demonio (cf Is 61,1).
♦ L’altro inganno dei Giudei fu che quanto era stato predetto dai profeti della seconda venuta del Salvatore (giudicare il mondo con potenza nella fine dei secoli) essi vollero intenderlo della prima venuta. Troppo chiaramente i profeti predissero che il Redentore doveva fare in questa terra una vita povera e disprezzata.
Ecco quel che scrisse il profeta Zaccaria parlando della vita abbietta di Gesù Cristo: “Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina”. (Zc. 9, 9).

(S. Alfonso, Riflessioni sulla Passione di Gesù Cristo, Capo I, nn. 4-7). 
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I Giudei si figuravano il Messia come un principe trionfante ed onorato da tutti gli uomini quale sovrano di tutta la terra. Se fosse stato così, Egli non sarebbe stato quel Redentore promesso da Dio e predetto dai profeti. Ciò ben lo dichiarò Cristo medesimo, quando rispose a Pilato: Il mio regno non è di questo mondo (Gv. 18, 36).