Vecchio curvo e sordo ma che santo

Il cammino del vescovo Alfonso Maria de Liguori: 1762-1775.
48.
 Vecchio, curvo e sordo… ma che santo!

 Vecchio, curvo e sordo… ma che santo!

S. Alfonso ormai era a Pagani tra i suoi confratelli e trascorreva le giornate tra preghiera, studio e ricevendo i numerosi visitatori.
Tra visite e studi la giornata di Monsignore si decorava di episodi, che svelavano una sorgente di buon umore, non disseccata dagli sconvolgimenti interiori di quegli ultimi anni. A quell’età che suole rendere l’uomo intollerante e scontroso per le aspre angustie il Santo rideva persino del suo penosissimo incurvamento, non per stoicismo si sottintende: “Tante volte mi hanno chiamato collo torto, che ci son diventato”.
Il servitore scorgendolo seduto in maniera disagiata gli diceva: “Monsignore, raddrizzatevi perché state scomodo”. Ed Egli soggiungeva con bonarietà luminosa: “Per quanto mi raddrizzo, sempre mi ritrovo storto”.
A chi lo supplicava per una guarigione ribatteva argutamente: “Se fossi santo e sapessi far miracoli, sanerei me stesso che sono storpio e nulla valgo”.
Era sempre gioviale. Un giorno del caldissimo luglio domandò un bicchiere di acqua, e Alessio corse ad attingere quella nevata che si conservava in cantina. Fatto il primo sorso, il Santo esclamò festevole: “Benedetto Iddio! Quante belle cose ha fatto per noi”.
La quasi sordità non aveva creato la solitudine intorno a lui. Il p. Villani gli aveva comprato una tromba acustica spettacolare che adoperava non senza diverstimento dei suoi interlocutori. Il caratteristico cimelio può oggi osservarsi nel Museo Alfonsiano.
Quando scorgeva l’infermiere con la faccia lunga o con la fronte ipertesa, ripeteva con grazia illuminandosi: “Con noi poveri vecchi ci vuole una gran pazienza!”.

L’amore per la natura – I discepoli lo circondavano con premure delicate: il p. Corsano gli portò un mattino un uccellino che si era infilato nel corridoio. In vederlo il Santo s’intenerì e palpatolo ordinò di ridargli la libertà. Dubitandone mandò il p. De Robertis ad accertarsi se veramente il fringuello aveva ripreso il volo al di là della finestra.
Un’altra volta gli fu mostrato un volatile ferito ed egli commosso nel vederlo soffrire, lo fece consegnare a fratello Mattia, orologiaio, perché lo medicasse. Felice della guarigione dopo alcuni giorni lo lasciò ritornare tra gli alberi del chiostro.
Il menzionato p. Corsano nella mattinata forse di un sabato santo, cantato l’Alleluia, trasportò un agnello lattante alla camera di sant’Alfonso, che al solo guardarlo ebbe un sussulto, ravvisando in esso l’immagine di Gesù immolatosi per i nostri peccati. Sospese di scrivere e sollevate le gambette se lo pose sul seno carezzandolo con emozione indicibile. Contemplatolo per un pezzo, narra l’antico cronista, lo restituì a patto che non venisse ucciso per il rituale pranzo pasquale.
Di tanto in tanto specie nei mesi estivi, veniva trasportato sulla seggiola a ruote nella portineria, e molti fanciulletti gli si accostavano per essere benedetti. Egli li catechizzava godendo della loro innocente compagnia. Agli amici che si fermavano a gustare quella scena diceva divertito: “Vedo tanti passerotti intorno ad una coccovaia“.
(cf Oreste Gregorio, Monsignore si diverte, pp. 158-159)

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Galleria di statue di S. Alfonso vescovo
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Particolare della statua di S. Alfonso nella Congrega della Casa redentorista di Pagani (SA).