Blasucci Pietro Paolo redentorista

P. Pietro Paolo Blasucci (1729-1817). – Italia.

P. Pietro Paolo Blasucci (1729-1817).

Nacque a Ruvo del Monte nella diocesi di Muro Lucano e provincia di Potenza, addì 22 febbraio 1729. Dopo aver compiuto il corso dei suoi studi letterari e filosofici, essendosi il suo fratello minore, il Venerabile Domenico, ritirato nell’ Istituto di S. Alfonso, volle anche egli seguir un sì generoso esempio, e perciò fuggì di nascosto dalla casa paterna. Vestì l’ abito della Congregazione il 14 Agosto 1752, e l’ anno seguente nello stesso giorno fece la sua professione.

Quali e quanti fossero i talenti, la prudenza e le altre egregie sue qualità, lo mostra il fatto che S. Alfonso lo destinò, ancora giovane, all’ importante carica di Superiore e direttore delle missioni in Sicilia.
Non contava il Blasucci che 32 anni, allorché intraprese la fondazione della Casa di Girgenti. Farebbe uopo di grosso volume per narrare tutti i lavori che egli compì in pro di quella Isola, allora abbandonata, e le continue molestie ch’ ebbe a soffrire da parte dei malevoli e delle stesse autorità civili per mantenervi l’ opera delle missioni.

Nel 1792 il P. Pietro Paolo fu eletto Superiore Generale della Congregazione, e dopo un santo governo di 24 anni, pieno di virtù e di meriti, passò a miglior vita nella casa di S. Michele in Pagani il 13 giugno 1817.

Dalla lettera di S. Alfonso del 20 dicembre 1757 si rileva ch’ era Prefetto degli Studenti in Ciorani.

Con data del 6 Novembre 1768 S. Alfonso gli scriveva:

«Viva Gesù, Maria e Giuseppe! Ho ricevuto la vostra lettera funesta. Dico male: di quel che dispone Dio, niente è funesto. Ci vuol mortificare; sia sempre benedetto !….
In Napoli si farà quel che si può, secondo il consiglio dei savi, perché sono tempi di tempesta.
Quel che vi prego sopra tutto, è non perdere la confidenza in Gesù Cristo. All’ ultimo, se vi cacciano dalla casa, procurate di affittarne un’ altra per quanto basta a capirvi. Non bisogna cedere così presto, sin tanto che Dio ci fa conoscere che non ci vuole più in Girgenti.

Si faranno meno missioni, ma non vi mancherà un poco di pane per vivere. E staremo a vedere quel che fanno i deputati, quel che farà il nuovo vescovo, e sopra tutto quel che dispone Dio.

Io tengo che Dio non voglia distrutta questa casa; e dopo questa burrasca, chi sa che farà il Signore? Stringiamoci tutti ora vieppiù coll’ orazione, e lasciamo fare a Dio, contenti di quello che disporrà.
Io seguito a star cionco da capo a piedi, e sto contento e ne benedico Dio, e lo ringrazio che mi dà pace e sofferenza.
Ultimamente ho scritto lungamente a Mons. Targianni che sta in Napoli e mi è amico, che disingannasse il fratello in Palermo della rilassatezza della mia morale.

Infatti Diodato Targianni, Consultore regio in Palermo, ingannato da un teologo giansenista, il quale odiava i nostri, credeva che S. Alfonso insegnasse una morale rilassata, e che per conseguenza i Congregati seguitassero una perniciosa dottrina nell’ esercizio del sacro ministero.

Il 27 ottobre 1776 S. Alfonso scrisse a Blasucci in Frosinone:

«D. Pietro mio caro, ricevo la seconda vostra lettera dei 20 di ottobre, la quale mi ha consolato; e dico in breve che ella tutta mi è piaciuta con tutti i suoi sentimenti ed  espressioni, perché tutti sono aggiustati.
E ringrazio sempre Iddio che al presente ha fatto ritrovare V.R. in Frosinone; altrimenti cotesti altri miei Fratelli, secondo il loro zelo, vorrebbero vedere presto sollevata la Congregazione, in moddo che facesse spicco e tenesse casa in Roma…
Mi è dispiaciuto sentire he V.R. è stata poco bene. La prego di attendere alla sua sanità, ed a prendere qualche rimediuccio che i medici stimassero necessario. La sanità vostra ora è moralmente necessaria…
Sento la lite sul padronato della chiesetta, e mi pare che tutto quel che si è pensato per evitare il disturbo, tutto va ottimo. – Non vi è rimedio: nei principi delle opere di Dio, si ha da soffrire qualche incomodo…
In tutti gli altri punti che mi scrive, non occorre ch’ io dica nulla; mentre in  tutto mi son rimesso a V.R. che, come vedo, opera con tutta l’ oculatezza….
Resto con benedire a V.R. tutto quello che fa: i passi, le parole e tutti i patimenti e sofferenze che avrà da patire in questi principi….

P. Blasucci lavorò tre mesi per ottener la Bolla d’ approvazione della Fondazione delle due case di Frosinone e di Scifelli, di cui egli era Visitatore.

Nel luglio del 1777 dové far ritorno in Sicilia, ove urgeva la di lui presenza; e l’ anno seguente, il 30 luglio 1778, scrisse al suo cugino Padre Francesco De Paola la seguente lettera, che dimostra essere egli un vero savio e vero uomo di Dio:

«Girgenti – Carissimo fratello. Ricevo una vostra del 4 del cadente. Se non sono appieno informato delle occorse novità, non ne sono certamente affatto nuovo.
Non capisco qual bisogno avevate di umiliare supplica a nome delle Case dello Stato a Sua Santità, affinché ordinasse l’ osservanza in quelle della regola di Benedetto XIV, e non del nuovo regolamento regio, fatto espressamente per le quattro case del Regno
… Caro fratello, mi prendo la libertà di biasimare l’ accensione un po’ violenta del vostro naturale collerico e impetuoso, la maniera impropria di pensare, le risoluzioni precipitose di un cuore non lontana dalla secreta ambizione.
Sono vostro fratello, a cui dispiace la perdita del merito delle vostre fatiche
presso Dio e presso il mondo, che forse avete finora guadagnato colla
cooperazione alle due fondazioni dello Stato.
Se avete operato per Dio, non pretendete, come fondatore, eternare il vostro  rettorato; amate l’ esser suddito in casa, niente in Congregazione, superiore  di voi stesso, grande solo avanti a Dio per l’ umiltà.
Ricordatevi della vostra strepitosa vocazione, e del fine per cui vi ritiraste
nell’ Istituto. O presto o tardi Dio quieta i rumori e rimargina le scissure; e
la Congregazione, a dispetto dell’ inferno, sarà sempre Congregazione.

Nel 1787 P. Blasucci fondò una seconda casa nella Sicilia  nella città di Sciacca.
Il 17 aprile 1790 ottenne dal Re Ferdinando che a Girgenti ed a Sciacca si osservasse la Regola approvata da Benedetto XIV. Ed il 9 ottobre anche in Napoli si ottenne che si doveva osservare la regola antica.
Nel Capitolo Generale del Marzo 1793 il P. De Paola dette le sue dimissioni, riserbandosi il titolo di ex-generale e alcune altre prerogative; e fu eletto P. Blasucci Superiore Generale e proclamato Rettore Maggiore.
Tra Padri e Studenti erano allora in tutti 80, distribuiti in 17 Case: Pagani, Ciorani, Caposele, Deliceto, S. Angelo a Cupolo, Frosinone, Scifelli, Roma, Spello, Gubbio, Girgenti, Sciacca, Catanzaro, Tropea e Stilo…

Il 20 febbraio 1798 Pio VI fu portato via da Roma, e tutti i Padri furono cacciati dalle loro Case. La città di Napoli tremava al solo pensiero di vedere arrivare i Francesi. Ogni minimo indizio di connivenza col nemico attirava l’ attenzione e le severità del Governo.
Il Rettore Maggiore Blasucci lo imparò a sue spese. Impazientito nel sentir sempre parlare del prossimo arrivo dei Francesi, disse un giorno dinanzi a qualche amico: «Ma che vengano dunque questi Francesi, e ci si lasci in pace con tutte queste paure!»
Cotale proposizione, più che innocente, fu riferita al Re come la espressione d’ un desiderio, e il venerando Superiore, accusato di ribellione, e destituito dalla sua carica, fu condannato a una lunga prigionia nell’ eremo dei Camaldolesi di Vico Equense.
Quantunque di età di 70 anni, conservò il suo sangue freddo a questa notizia. Quando il commissario si presentò per condurlo al suo destino, i Padri si misero a piangere, il popolo singhiozzava. “Gloria Patri!” egli disse, e andò dietro all’ agente del Re.
Arrivato a Vico, saliva con fatica il monte su cui giace quell’ Eremo, e il povero agente si scusava di farlo così soffrire. «Oh!, disse il coraggioso vecchio, non è niente: Gesù salì il Calvario portando la croce, e noi non abbiamo croce sulle spalle». E continuò a salire, appoggiato al suo bastone e recitando sotto voce alcune preghiere.
Il commissario, lasciandolo, lo supplicò di benedirlo, e tornato a Napoli, disse ai suoi colleghi: «Ho condotto in prigione un santo». Il Blasucci rimase chiuso colà dall’ aprile del 1798 al novembre del 1799, occupato sempre a pregare nella sua cella, mentre l’ uragano rivoluzionario devastava quel regno.
Dopo quel temporale, il Re, disingannato sul preteso delitto del Blasucci, lo trasse dalla prigione, per restituirlo al governo della Congregazione. Il buon pilota riparò le avarie del naviglio, riprese la causa interrotta della beatificazione di S. Alfonso, e si preparò a nuovi acquisti, ma anche, come accade sempre quando si tratta delle opere di Dio, a nuove tribolazioni.

Dopo i disastri del 1799, le Case d’ Italia avevano goduto qualche anno di pace. Il Blasucci ne aveva profittato per ristabilire, per tutto, l’ ordine e la Regola.
Il Re Ferdinando, veduto lo zelo di quest’ apostolo per le missioni, lo aveva autorizzato nel 1804 a fondare una terza casa in Sicilia, distante due miglia da Palermo: di più, derogando dal decreto del 1752, il quale proibiva ogni acquisto, aveva permesso ad ogni Casa dell’ Istituto una rendita annuale di 1500 ducati. In queste condizioni, affatto conformi alla regola, si poteva fare assegnamento sull’ avvenire.

Ma ecco che nel 1805, Napoleone piomba all’ improvviso sull’ Austria ed i suoi alleati, e torna padrone d’ Europa. Fu un fulmine per il Re di Napoli che aveva parteggiato per l’ Austria. Napoleone  decretò la sua decadenza; e dichiarò Re delle Due Sicilie il suo fratello Giuseppe. Il 15 febbraio 1806 s’ impadronì di Napoli. Per Duca di Benevento fu eletto il ministro Talleyrand, e subito dopo furono soppresse le comunità religiose. La Casa di S. Angelo a Cupolo fu chiusa immediatamente. Fu risparmiata quella di Benevento per rispetto a P. Caione.

Nel 1808 il 6 giugno Luigi Napoleone nominò Re di Spagna suo fratello Giuseppe, e dette la corona di Napoli al cognato, il generale Gioacchino Murat, il quale soppresse gli ordini religiosi del regno, ma con decreto del 30 settembre 1809 furono rispettate le case dell’ Istituto per rispetto a Blasucci che aveva patito l’ esilio.

Il 24 Maggio 1814 Pio VII rientrò in Roma fra gli applausi del mondo cattolico, ed a un suo cenno il Rettore Maggiore Blasucci fece tornare i suoi religiosi nelle case dalle quali erano stati cacciati.

Dopo la Beatificazione di S. Alfonso, che avvenne il 15 settembre 1816, Il Rettore Maggiore Blasucci fondò due nuove case, una in Somma Vesuviana,  l’ altra nella stessa città di Napoli a S. Antonio a Tarsia.
Morì di anni 88 in Pagani il 13 Giugno 1817.

P. Blasucci si distinse per sapienza, purità di vita, zelo apostolico e tenera  divozione a Gesù Bambino ed alla Vergine Madre
È tradizione che, trovandosi a Girgenti, compì un atto eroico di carità:

Una giovine stava per essere uccisa dai fratelli per un fallo commesso, quando gridò piangendo: Fatemi prima confessare, e poi mi uccidete – Voglio il P. Blasucci – Subito fu fatto chiamare. Ma il P. Blasucci, ch’ era di alta statura e forte, per liberarla dalla morte, se la pose sulle spalle, coperta dal cappottino, e l’ andò a rinchiudere in un Monastero.

Si narra ancora, che, trovandosi in esilio, seppe che il P. Lombardi era stato preso dai pirati; nella Messa offrendo l’ Ostia disse: Eterno Padre, io vi offro questo vostro figlio, e voi restituitemi il mio. Fu notato che nella stessa ora fu lasciato libero».
__________________________
Profilo tratto da
Biografie manoscritte del P. S. Schiavone
– vol.1 Pagani, Archivio Provinciale Redentorista.

P. Pietro Paolo Blasucci, redentorista nativo di Ruvo del Monte (PZ) e fratello maggiore del Venerabile Domenico Blasucci, che lo convinse a seguirlo nell'Istituto. Godè ampia fiducia da parte di S. Alfonso e stima dai confratelli. Le vicissitudini storiche legate al Regolamento lo trovarono pronto ad un'aperta testimonianza contro il cugino, P. Francesco Antonio De Paola. Fu scelto come Rettore Maggiore e guidò con sicurezza la Congregazione nel difficile periodo francese.
P. Pietro Paolo Blasucci, redentorista nativo di Ruvo del Monte (PZ) e fratello maggiore del Venerabile Domenico Blasucci, che lo convinse a seguirlo nell’Istituto. Godè ampia fiducia da parte di S. Alfonso e stima dai confratelli. Le vicissitudini storiche legate al Regolamento lo trovarono pronto ad un’aperta testimonianza contro il cugino, P. Francesco Antonio De Paola. Fu scelto come Rettore Maggiore e guidò con sicurezza la Congregazione nel difficile periodo francese.

__________

Vai alla pagina delle Biografie di Redentoristi