De Michele Michele redentorista

P. Michele De Michele (1735-1795). – Italia.

P. Michele De Michele (1735-1795).

Nacque in Melfi nell’anno 1735, l’ 8 ottobre.
Compiuti a 18 anni gli studi letterari, fu sorpreso sul principio del 1753 da grave infermità, per cui si vide costretto interrompere il corso di filosofia e ritirarsi dal Seminario nella casa paterna.

Dopo due mesi era guarito e rientrava in Seminario, per uscirne però nuovamente a causa della stessa infermità; il che avvenne appunto quando S. Gerardo era a Melfi con tre Padri. Era nota a S. Gerardo la famiglia De Michele; si portò quindi a visitare il giovane infermo; al quale, non appena ebbe toccato il polso disse: «Che febbre, che febbre! Voi siete sano!». E la sua parola fu efficace, perché la febbre si partì all’ istante, e dal Medico, venuto dopo, fu dichiarata perfetta la guarigione.

Alquanti giorni appresso incontrandosi il Santo col giovane De Michele da poco guarito e guardandolo affettuosamente, gli disse: «Voi un giorno sarete nostro». – «Lo sarò – rispose l’altro –  quando toccherò il Cielo con la mano», dando così ad intendere la nessuna propensione che aveva di ritirarsi nella nostra Congregazione.

Ebbene, non eran trascorsi cinque mesi da questo incontro, che il De Michele si trovava già nel nostro noviziato di Ciorani, autenticando col fatto la profezia.
Come si mosse questo giovane ad abbracciare l’Istituto del SS. Redentore, l’ebbe esposto egli stesso in una relazione:

«Dappoiché Fratello Gerardo mi disse che sarei della Congregazione, il Signore non mi faceva più trovar pace, e nell’orazione mi spingeva fortemente a lasciare il mondo, ora con lumi, ed ora con sentimenti interni; ed erano tanto grandi ch’ero costretto a parlare qualche volta della fugacità dei beni caduchi, della vanità del mondo, e della grande miseria ch’è l’abitarvi. Dicevo beati quelli che l’avevano lasciato, e che se il Signore avesse voluto ciò da me, volentieri l’avrei fatto, non badando ad onori, ricchezze e parenti: cose egli mi faceva conoscere come niente, anzi le avevo in abominio.

Nelle visite del SS. Sacramento, nelle orazioni e letture spirituali di altro non si trattava che di questo, onde fui costretto a manifestare il tutto al mio confessore, uomo dotto e pio, il quale era il Signor Canonico D. Leonardo Rossi. Egli a bella prima disapprovò il mio disegno, dicendo che aveva molto in che impiegarmi nella città in cui mi trovavo. Io all’incontro non cercavo altro che la gloria di Dio; mi uniformai a quanto egli mi diceva. Ma il Signore non lasciava di darmi nuove spinte, perché voleva essere da me servito non dove volevo io, ma in quel luogo dov’era la sua maggior gloria.

Quindi gli impulsi erano continui; la terra mi sembrava un carcere, e tutte le cose terrene un fumo. In nessuna cosa potevo trovar pace, parendomi essere nel mondo come un sentenziato a morte: tutto era effetto della grazia di Dio.

Io frattanto continuavo a manifestare tutto al mio confessore, ed egli pure su quell’ affare si consigliava con uno della stessa Congregazione, alla quale Iddio mi chiamava.
Quindi, dopo quasi 4 mesi, egli insieme con quel Padre approvò la mia vocazione.

Intanto il Signore seguitava a darmi impulsi, e fra gli altri ve ne fu uno che mi atterrì, e mi spinse a porla in esecuzione; e fu che Egli mi parlò all’anima, dicendomi che se non seguiva la chiamata, mi avrebbe abbandonato.

Avutami dunque l’approvazione della vocazione, tenevo celato il tutto ai miei; ma mio padre avendo saputo che io non facevo secondo quanto egli mi comandava per distogliermi dall’intrapreso cammino, ora ponendomi avanti agli occhi le possessioni e gli averi, ora che avrei potuto fare nella città lo stesso bene che nella Congregazione, ora facendomi parlare da preti e maestri, con mille ragioni cercava dissuadermi.

Alla fine l’istesso Vescovo mi contraddiceva, dicendo che non era vocazione, e, quante volte mi incontrava, mi diceva che la Congregazione non faceva per me, essendo io di gracile salute.

Ma il Signore mi dava allora tanta forza che resistevo a tutti senza badare ad accettazione di persone; il mio fine principale era di fare la volontà di Dio, che là mi chiamava, dove avrei avuto più agio d’occuparmi nell’ orazione, ed in modo speciale di starmene innanzi il SS. Sacramento, e che in questa Congregazione avrei avuto facile occasione di attendere al cotanto da me sospirato ministero della salute delle anime, specialmente della conversione degl’ infedeli.

Si differì per qualche tempo la mia entrata nella Congregazione a causa della mutazione di aria, così ordinandomi gli stessi Padri.
Quel tempo mi pareva lungo; ogni giorno mi sembrava un anno. Finalmente arrivato il dì stabilito, mi partii dal secolo con somma allegrezza, e con pari rammarico dei parenti ed amici, e pervenni al collegio della Consolazione in Deliceto, d’ onde, dopo avermi fatti fare gli esercizi spirituali, mi mandarono dal P. Rettore Maggiore.

Questi, avendomi approvata la vocazione, ed avutosi i voti dei suoi consultori (per grazia speciale di Dio) fui mandato al noviziato, in cui, passato qualche tempo con le proprie vesti, fui ammesso alla vestizione il giorno dell’Immacolata Concezione dell’anno 1753, essendo io allora di anni 18 e mesi due». Fin qui il De Michele.

Da questo suo racconto si vede la sua coraggiosa corrispondenza alla chiamata di Dio.
Perseverò nella Congregazione sino alla morte che fu quella dei giusti, avvenuta a Materdomini il 3 giugno 1795 coll’ assistenza del rettore P. Arcangelo Falcone, e munito de santi Sacramenti.

Secondo la lettera 170ª di S. Alfonso diretta a Suor Maria di Gesù di Ripacandida, il De Michele entrò in Congregazione per consiglio di questa Suora; a lei fa sapere che Michele si porta bene, ma che sta poco bene di corpo. Dice poi S. Alfonso: «Penso mandarlo un poco a Melfi a ristabilirsi, acciò ritorni subito ch’ è ristabilito».

Il 27 ott. 1756 a P. Caione, rettore di Materdomini, scrisse così:
«Mi è stato detto che Fr. Michele De Michele è tornato a comparire colla faccia di prima. Prego V. R. a vedere come sta, e se bisogna, levategli lo studio, non solo quello che gli ho concesso, ma anche tutto…. Io do a V. R. tutta la mia facoltà, acciò moderiate lo studio; e nel dubbio, tenetevi sempre dalla parte della sanità…».

In questo stesso anno P. de Michele prese parte alla Missione di S. Angelo.

Il 30 maggio 1795 formulò l’ ultimo codicillo per Notar Fungaroli di Caposele, col quale lasciò un capitale di Ducati 300, dovutogli da D. Francesco Sturchio al 6/100 nel 1799, in benefizio del Rettore Maggiore Blasucci, con l’obbligo che i Padri di Materdomini, ogni 6 anni, facessero gli Esercizi a Melfi. Questo capitale appena si poté esigere in parte nel 1828.
(Berthe. 640).

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Profilo tratto da
Biografie manoscritte
del P. S. Schiavone – vol.1
Pagani, Archivio Provinciale Redentorista
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P. Michele De Michele, redentorista nativo di Melfi (PZ), a dopo la "profezia" di Fratello Gerardo, pensò seriamente alla sua vocazione che però ostacolata da tutti, persino dal vescovo mons. Teodoro Basta (vedi stemma). Ma la tenacia del giovane e la "grande considerazione che si aveva per Fratello Gerardo" ebbero la meglio. San Gerardo frequentava spesso la città di Melfi.
P. Michele De Michele, redentorista nativo di Melfi (PZ), a dopo la “profezia” di Fratello Gerardo, pensò seriamente alla sua vocazione che però ostacolata da tutti, persino dal vescovo mons. Teodoro Basta (vedi stemma). Ma la tenacia del giovane e la “grande considerazione che si aveva per Fratello Gerardo” ebbero la meglio. San Gerardo frequentava spesso la città di Melfi.

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