De Risio Alessandro redentorista

Mons. Alessandro De Risio (1823-1901) – Italia.

Mons. Alessandro De Risio (1823-1901)
Arcivescovo di Santa Severina

Là nei remoti Abruzzi, e propriamente in quel di Chieti, a Scerni, ebbe i suoi natali.
L’ avventurato giorno fu il 1° ottobre del 1823.
L’ infanzia passò nella svagatezza; vispo, amante di trastulli e libertà.
La vivacità dell’ ingegno gli dava gran gusto dei divertimenti, e una certa autorità sui compagni della medesima indole.

Il fanciullo non ebbe la madre che lo attirasse: non poté sul tipo delle materne virtù comporre la sua anima. Era piccolino: non ancora divezzavasi da quel dolce sapore, che i fanciulli godono sul grembo della madre quando egli ne fu privo. Aveva 9 anni allora.
Dai nove agli undici si svolse senza guida; e ne risentì. All’età di 11 anni, commesso alle cure del Preposto di Gissi, s’invaghì forte delle Lettere: sua delizia erano i libri, leggeva i classici prosatori: divorava i poeti.
Tale ardore là nel Seminario di Chieti lo fèce, nel corso di pochi anni, compiere gli studi; e dal banco dei discepoli lo sollevò alla cattedra dei Professori. A 22 anni insegnava filosofia a Penne.

Ma nei disegni della Provvidenza il De Risio occupava le linee dei Santi, non quelle dei letterati né dei filosofi. In quel torno di tempo avvenne che alcuni Padri di S. Alfonso furono a missionare in quei luoghi.
Qui riporto un brano delle memorie che il De Risio scriveva di sé: «Nella mia fuga dal mondo ammirai la divina Misericordia, che, per dispormi alla medesima, dagli anni 12 cominciò a lavorare in me colla sua divina grazia, facendomi sentire una missione dei Nostri; e contribuì molto col farmi sentire una seconda; e mi perfezionò con una terza».
Il suo cuore segue i missionari, li vagheggia nei misteri del chiostro. Il loro noviziato è suo anelito. Si oppone l’Arcivescovo, si oppone il padre, si oppongono i parenti: supera ogni ostacolo. La vita apostolica del Liguori per lui era troppo bella.

La sua vocazione
È fama tra noi che la vocazione del De Risio al nostro minimo Istituto sia stata accompagnata da luce prodigiosa. Se visione, o sogno, o come altro si debba chiamare io non so.
Egli dormiva. Era il tempo della lotta; quando Iddio lo chiamava, e gli ostacoli crescevano. Nel sonno gli parve di vedere S. Alfonso che lo sollecitava a ritirarsi. Credette ciò un vaneggiamento; e tosto si riaddormentò.
Ed ecco di nuovo S. Alfonso: la fisionomia più chiara, la voce più soave: Tu sei mio …. Ridestatosi, se ne scosse anche questa volta come di sciocco fantasma; e riprese sonno … Finalmente la figura di S. Alfonso parve distinta: spirava aura celeste: la sua presenza esercitava gran fascino.
« Non badare a nulla, disse: vinci gli ostacoli: ti aspetto a Ciorani ». Svegliatosi il giovane, fece delle robicciuole un fardelletto, e subito, senza manifestare a persona il bel disegno corse di volo a Pagani, indi a Ciorani.

Novizio pare un angelo. Modesto, devoto, umile: piace la preghiera: alle perpetue contraddizioni del P. Maestro Lamannis sta saldo e sereno: non si smaga, né si avvilisce, piuttosto se ne corrobora.
Quando le umiliazioni sono più solenni, e contristano più l’ amor proprio, l’animo suo ne gode d’avvantaggio; ma sempre con modestia, sempre con quel delicato sentimento, che ne nasce da virtù schietta.
Ogni novizio, a giudicarlo dall’ esterno, li pare un santo calato dal Paradiso. Però a distinguere se la è magra esteriorità, ci vuole poco: la violenza non dura: qua e là scappa, a traverso quelle forme mendicate, lo spirito dell’uomo vecchio.

Non l’ambiente, non l’occhio del Maestro componeva la persona del De Risio a fattezze di angelo: si bene l’interna virtù, che andava dispiegandosi come luce mattutina.
Nella solitudine di Ciorani meditò profondamente la regola dell’Istituto, ed il mattino del 13 maggio del 1847 tra la letizia dei Padri e degli Angeli del Cielo fece la sua Professione Religiosa.
Dato l’ ultimo perfezionamento agli studi teologici, ascese al Sacerdozio nel Collegio di Pagani, e la prima messa celebrò all’altare di S. Alfonso, nel 21 dicembre del 1847. Egli era già Diacono nell’entrare in Congregazione ed aveva fatto tutti gli studi sacri.

Missionario in Sicilia
Pieno di scienza, pieno di santità; informato allo spirito dell’Istitutore, era un Missionario bello e fatto; solo attendeva il cenno dei Superiori per darsi ai popoli, alla cui salvezza si era totalmente consacrato. Con immensa sua consolazione venne destinato all’ Uditore a Palermo, dove venne ricolmo di grazie.
Corse la Sicilia in compagnia di altri Padri. Tutti generosi, tutti grandi, tutti zelanti erano quei Missionari, egli però rifulgeva su tutti. D’ordinario predicava più volte al giorno: non di rado quattro. (in mia presenza disse un giorno al P. Losito, che in Sicilia aveva fatto 20 mila prediche).

Piena di cristiana scienza era la sua predica, «mi unirò cuore a cuore con Gesù Cristo, egli diceva, e da quel cuore benedetto ne succhierò un fuoco di carità per abbruciare tutti i cuori degli uditori, riponendo tutte le mie parole nel suo sacro costato, acciò, inzuppate nel sangue di Gesù, facciano colpo nei cuori».
Ecco perché la sua eloquenza conquideva tutti; tutti traeva all’amore di Gesù Cristo.

Così sul pergamo, così nel confessionale. Parola illuminante, sicura, facile; non si sarebbe potuto distinguere se la era parola della scienza o dell’amore. Parola mirabile!
Studiava e pregava. Quante morali uscivano, tante ne leggeva; nei dubbi consultava i più dotti teologi d’Italia: era sì perito in tale scienza, che i suoi pareri valevano a risolvere questioni intrigate, e grande autorità faceva il suo nome.
Pregava lunghe ore immerso nella preghiera, studiando in quel tempio di amore e la misericordia di Dio, e la debolezza delle creature. Donde la sicurezza di sue risposte, e la soavità delle dottrine.

Così intendiamo perché si ricorreva alle sue prediche, e più al suo confessionale; come anime tendenti a perfezione, e peccatori scioperatissimi volevano aprirsi a lui per ricevere le consolazioni e il perdono di Dio.
Il nome di lui fa il giro della Sicilia con l’aureola della santità: ogni cuore n’è ripieno e vi riposa come all’omero del suo protettore.

Nel 1860
Siamo nel 1860: Garibaldi è all’Uditore, alberga con De Risio nel medesimo Collegio.
I Liguorini debbono partire: il decreto è fatto. Palermo prega il conquistatore che almeno lasci il De Risio, il solo De Risio. « No – disse il P. Alessandro al superbo Nizzardo dittatore –  o i miei fratelli con me, o io coi miei fratelli: se quelli partono, io non rimango». Quelli dovettero esulare ed egli non rimase.

Venne a Napoli. La comunità di Tarsia era sciolta: i Padri sbandati qua e là. Il solo De Risio rimase a reggere quella Chiesa. Si moltiplicò tanto che non ffece avvertire la dipartita degli altri compagni.
Il popolo, l’ aristocrazia, il clero rimanevano contenti delle sue cure. La fisionomia del santo di giorno in giorno si dichiarava. Tutti traevano a Lui; e il suo cuore si allargava, si invigoriva a maggiori virtù.

Napoli non gli bastava; voleva il mondo; e pensava alle lontane Americhe: pensava agli Infedeli. Ne fece domanda e si preparava:  studiò medicina; si addestrò nella lingua francese; imparò la castigliana.
Mentre il De Risio vagheggiava lontane Missioni, il Signore gli preparava un campo meno largo si, ma irto di spine più pungenti.

Arcivescovo
L’ odore di Gesù Cristo che P. De Risio diffondeva in Napoli, richiamò l’attenzione di Papa Pio IX, il quale, vinto dalla bellezza di quella vita tutta di Dio, lo creò Arcivescovo di Santa Severina il 26 aprile 1872 e fu consacrato il 9 maggio.
S. Alfonso non cessò di essere apostolo quando gli fu posto fra le mani il pastorale di S. Agata; e neanche il De Risio quando ebbe quello di Santa Severina.

Il sabato e la domenica, per 25 anni, fu suo il pergamo della cattedrale; suo nella quaresima di ogni anno. La diocesi fu il circolo di sua vita: non ne uscì mai. In compagnia dei suoi confratelli ne evangelizzò quasi tutti i paesi; e tutti li visitò, anche quelli che sembrano inaccessibili.
Pubblicò molti opuscoli: tutti belli, succosi, energici. Sono la dolce conversazione del Vescovo coi suoi Preti. Fece rifiorire il culto nella Diocesi. Le chiese furono ripulite: qua e là decorate; l’una o l’altra riccamente addobbata. Non si badava a spesa.

I poverelli e gli infermi erano la sua pupilla. Tutto dava agli indigenti: vesti, cibi, danari ed ogni maniera di aiuti: per loro stremava anche il parco desinare. Non di rado, per aiutare gli artigiani ordinava opere: strade, fontane ed altri edifizi.
Tutti in diocesi lo tenevano in conto di Santo; e da lui, secondo quanto diceva monsigor Salzano, si aspettavano miracoli.

Vita virtuosa
Le tre catene d’ oro, come Egli soleva bellamente chiamarle, che lo stringevano al Signore, erano: gli Evangeli, la Regola del suo Istituto, i suoi Proponimenti. Nel libretto dei suoi proponimenti è scritto. «Fui ricevuto con molta facilità in Congregazione: abbracciai le sue Regole senza difficoltà, e sono già anni 26 che vivo in essa dolcemente: né mi ricordo di avervi commesso difetto alcuno pienamente volontario; idem da Vescovo».

  • La Regola, a sentenza di Benedetto XIV, osservata per 10 anni, forma un Santo. La Regola è il fior dell’Evangelo: e i proponimenti di lui erano il fiore della Regola.
  • La Regola del nostro Istituto vuole che viviamo e vestiamo da poverelli, e il De Risio di rado accetta abiti nuovi: l’ abito paonazzo lo porta 25 anni e sotto le insegne episcopali veste abiti rattoppati.
  • La Regola vuole otto ore di riposo, sopra letto senza materasso: il De Risio dorme cinque ore: il letto non solo è di semplice paglia, ma di paglia mai smossa, di paglia non cambiata mai per 25 anni; il suo pagliericcio, a Santa Severina, era polvere e torsoli aspri.
  • La Regola vuole la disciplina, ma due volte la settimana, ed a secco; e il De Risio, si disciplinava ogni dì a secco, e più volte alla settimana sino allo spargimento del sangue, tranne quando i direttori non credevano diversamente. Nulla dico poi dei cilizi irsuti, crocette,digiuni… e di altre simili mortificazioni.
  • La Regola vuole modestia negli occhi; e il De Risio non fissò mai le sue pupille in faccia di donna. La regola vuole la presenza di Dio; e il De Risio andava ordinariamente col capo scoperto, e con la berretta in mano, per rispetto a Dio.
  • La regola vuole amore a Maria SS.ma e il De Risio l’amava ferventissimamente. Celebrava le sue Novene; anelava spargere il sangue per il Dogma dell’Immacolata Concezione, di Lei si infervorava talmente predicando che pareva in estasi. « Egli la vede la Madonna –  dicevano – Egli la vede…».

Il tramonto della vita
In tutto imitò S. Alfonso, anche nel licenziarsi dalla diocesi; anche nel ritirarsi in mezzo a noi a Pagani. Reso impotente, per malattia, al governo della diocesi, segue il pensiero di Dio, che lo trae: si abbandona al desiderio del Cielo; e dolcemente si duole di non altro che del ritardo a quell’ ascensione. Ne discorreva con tutti, che lo visitavano: i mesti annunzi di morte lo pungevano di santa invidia.

Ogni volta che noi, secondo le gentili e delicate usanze della cristiana carità, nelle principali feste, ci portavamo alla sua camera per gli auguri, egi, con un malinconico sorriso, diceva: « Sempre qui mi trovate, sempre qui… quando più non mi troverete?… o Paradiso! o Paradiso! ».

Egli stava bene; la robustezza di sua persona accennava a parecchi altri anni di vita. Solo lo tormentava l’erpete, che, di inverno e di estate rendevagli questo mondo molesto più che purgatorio.
Pieno di soave melanconia ripeteva: «Sono 50 anni che prego il Signore a volermi chiamare a sé… ma sembra che questo momento si allontani ».

Il 20 aprile 1901, in giorno di sabato, con un colpo apoplettico cessò di vivere a mezzodì, mentre gli stavano tutti d’ intorno a pregare per il suo felice passaggio.
Una voce generale si sparse per Pagani, Palermo, Santa Severina… « È morto il Santo ». Si raccontano diverse grazie ottenute a sua intercessione.

(Dall’elogio funebre di P. Costantino Petrone).

Io ricevei da Monsignor De Risio la tonsura e i quattro ordini minori il 1° maggio 1897. Egli si ritirò a Pagani il 24 ottobre 1896 col nipote Sac. D. Camillo.

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Profilo tratto da Biografie manoscritte
del P. S. Schiavone –
vol.3 Pagani, Archivio Provinciale Redentorista.
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Ritratto del redentorista Mons. Alessandro De Risio, Arcivescovo di S. Severina. Missionario e Vescovo dal cuore alfonsiano: fu chiamato “un secondo S. Alfonso”. Mori a Pagani nel 1901.
Ritratto del redentorista Mons. Alessandro De Risio, Arcivescovo di S. Severina. Missionario e Vescovo dal cuore alfonsiano: fu chiamato “un secondo S. Alfonso”. Mori a Pagani nel 1901.

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Ritratto del sacerdote Camillo De Risio, nipote del Vescovo redentorista: lo seguì nel suo ritiro a Pagani.
Ritratto del sacerdote Camillo De Risio, nipote del Vescovo redentorista: lo seguì nel suo ritiro a Pagani.

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