Giuseppe De Luca su S. Alfonso 2

Giuseppe De Luca su S. Alfonso /2

Scrive Don Giuseppe de Luca: “La prosa di Alfonso de Liguori è tutta una preghiera ruminata, quando non è preghiera esplicita e decisa. O è preghiera, o fa preghiera. E qualche volta, è poesia appena accennata, ma ahimè, presto lasciata cadere. S. Alfonso era talmente uomo del suo secolo, che non seppe resistere, appena gli nasceva un po’ di poesia, dall’ucciderla in versi. E così nella sua opera sono prodigiosamente numerosi i principi di poesia che poi non continua”.
– De Luca ci offre il suo approccio a tre opere del Santo:
1. – Le Visite al SS. Sacramento
2. – La “monaca santa”
3. – Un libro di grande fortuna: Le Glorie di Maria

1. – Le Visite al SS. Sacramento
Il P. O. Gregorio C.SS.R. prosegue da anni, con ardore di giovane e salda formazione di religioso, quelle Ricerche alfonsiane, di cui ci offrì un saggio cospicuo nella edizione delle poesie del santo. Molto ancora ci resta da sapere, su S. Alfonso, la sua vita e le sue opere. Il settecento napoletano, così studiato per alcuni aspetti, è poco meno che ignoto per ciò che riguarda la vita religiosa e mistica.
Ecco, per esempio, un gradito e prezioso saggio del P. Gregorio sopra le Visite al SS. Sacramento di S. Alfonso. “Costituiscono ‑ egli dice ‑ l’operetta spirituale più caratteristica” del santo Dottore. E dovendosene dare, fra poco, l’edizione critica nella raccolta completa che la Congregazione del SS. Redentore sta pubblicando di tutte le opere ascetiche di S. Alfonso, il P. Gregorio, “quasi apparecchio alla medesima”, propone “la risoluzione di alcune questioni, che possono giovare non poco alla critica testuale”.

La prima questione è sulla originalità del metodo. Il Santo non ha creato lui questa devozione, ma forse è stato lui a crearne la popolarità. Il suo libretto, in realtà, ha conosciuto per tutto un secolo una fortuna prodigiosa, ed è passato fra le mani di tutti i fedeli.
Quando e in che occasione fu composto? Il santo stesso l’ ha raccontato: “Avendo io posto insieme alcune delle seguenti riflessioni ed atti per raccoglimento dei giovani della nostra minima Congregazione nel fare secondo le nostre costumanze la visita in ogni giorno al Santissimo Sacramento e alla Beata Vergine Maria; e ritrovandosi un divoto secolare a fare gli esercizi spirituali nella nostra casa, egli li intese leggere, gli piacquero e volle che per ben comune si stampassero a sue spese; onde mi obbligò ad accrescerle, acciocché i divoti se ne potessero servire per ciascun giorno del mese”. Era allora, il santo, a Ciorani, “minuscola borgata sepolta tra le gole profonde delle montagne salernitane”; e quivi, in quegli anni, era anche il noviziato.
Fra i “divoti secolari” che da Salerno e da Napoli accorrevano là, verso quella pace, si trova che ci dimorò a lungo anche don Giuseppe de Liguori, capitano delle galere, ormai vecchio e “annoiato del mondo”. Pare, anzi, a giudizio dei biografi alfonsiani, che fosse proprio lui il divoto secolare che fece stampare le visite composte dal figliuolo. C’è una lettera del Santo, in data 10 agosto 1744, che parla già del manoscritto pronto e della stampa imminente.
La data di apparizione delle Visite è controversa: chi dice 1744, chi 1745, chi 1748.

Si ha un esemplare del 1748, ma senza approvazione arcivescovile: segno manifesto che è una ristampa. D’altronde, nella primavera del 1746, già il Santo donava nelle missioni l’opuscolo delle visite. Inoltre, c’è una lettera d’un cittadino di Foggia a S. Alfonso, in data 8 luglio 1745, e già si fa parola del famoso librettino. L’edizione dunque deve essere per lo meno di quell’anno. Peccato che non se ne conosca nemmeno una copia! E chi, nelle biblioteche di case religiose o private del Mezzogiorno d’Italia, potesse rintracciarne anche una sola, farebbe una vera scoperta.
È opinione corrente che le visite siano state il primo libro del Santo; ma il P. Gregorio ricorda varie altre pubblicazioni precedenti.
Circa il testo, “pare che il testo primitivo delle visite sia rimasto immutato sino al 1748. Dopo il febbraio 1749 S. Alfonso lo ritoccò in qualche punto”. Cambiò il titolo, da “pensieri ed affetti divoti nelle visite al SS. Sacramento, ecc” in Visite al SS. Sacramento ed a Maria SS. ma. Corresse il suo stile: e il P. Gregorio ci promette una ghiotta primizia sopra la “grammatica” di un Santo che molti ritengono poco curante di grammatica corretta e di elocuzione eletta.

Intanto il libro si moltiplicava dappertutto. Nel 1755 ne curò personal­mente un’altra edizione, introducendovi varie modifiche. Nel 1758 ci tornò sopra, e “sostituì alle brevi riflessioni mariane, per le prime ventitrè visite, altrettante orazioni” ricavate dai padri greci e latini. Tuttavia, continuò e continua a prevalere l’edizione del 1755.
Il successo del libro, come s’è detto, ebbe ed ha del prodigioso. Le edizioni che se ne conoscono, nelle diverse lingue, superano il numero di duemila. Ma si conoscono tutte? è difficilissimo seguire la fortuna di questi libri così minuti e così miracolosamente amati e cercati. E si pensi che solo di una edizione americana si tirarono più di duecento cinquanta mila esemplari…
Dice bene il P. Gregorio, che noi abbiamo seguito passo passo in questa breve notizia: dice bene che il Santo dovrà ora rallegrarsi di questo suo libricino, in Paradiso. Non c’è tabernacolo, forse nel mondo dinanzi al quale non siano state sillabate con amore, almeno una volta, quelle sue accesissime e care parole (1).
(da L’Osservatore Romano, 13 marzo 1935)
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(1)
Il “divoto secolare”, che finanziò la I ed. delle Visite, non fu Giuseppe de Liguori (m. 1745) ma assai probabilmente Giovanni Olivieri (cfr O. Gregorio, Ricerche intorno al libretto alfonsiano delle “Visite al SS. Sacramento” in Spicilegium historicum C.SS.R., 4 (Roma 1956, 177 ss.).

Le "Visite al SS. Sacramento" continuano ad essere stampate con una frequenza sorprendente.

2. – La “monaca santa”
… E ogni certo numero di pagine sbocca, regolarmente, nella preghiera. È veramente un bel leggere, leggere così. “In fine d’ogni istruzione ho cercato d’apporvi le preghiere intrecciate di diversi affetti divoti… Nell’altre scienze umane la cognizione produce l’amore, ma nella scienza dei santi per contrario l’amore produce la cognizione: chi più ama Dio più lo conosce. Oltreché non già le cognizioni ma gli affetti sono quelli che propriamente a Dio ci uniscono, e ci fanno ricchi di meriti per la vita eterna”.
Se trovassimo questo passo in San Bernardo, quanto ci parrebbe stupen­do! ci strega lo storicismo. Certamente ci faremmo delle tesi. Orbene, senza averne l’aria, S. Alfonso ha una dottrina mirabile e profonda, che se non si svolge in forma scolastica, non perciò è meno dottrina.

In forma scolastica scrissero i Santi che facevano scuola: e anche S. Alfonso, la Morale. Ma grandissima parte della tradizione cristiana di pensiero è nata sul pulpito, nei colloqui ascetici, nelle polemiche con profani. Anche qui stiamo attenti a non confondere la dottrina con l’insegnamento della medesima.
So benissimo che s’è tentato di mettere in sistema serrato l’ascetica del Santo. Il P. Keusch, di cui Vita e pensiero ha tradotto opportunamente il libro, non ci dormiva più, e non parlava d’altro. Ora egli è morto, in età giovane: e ricordo le grandi discussioni che si facevano insieme, a questo proposito. Una sera d’autunno, si tornava da passeggio e non s’era fatto che parlare di S. Alfonso e del suo “sistema”. Ebbene, non riuscivamo a rientrare, e facemmo cinque volte il giro del Colosseo, né si smetteva. L’ultima luce s’attenuava sul Palatino, e un freschetto traditore ci riferiva! Non proprio soavemente. Ma non riuscivamo a smettere. Povero buon P. Keusch! egli amava tanto l’Italia e il Santo; noi non dobbiamo dimenticarlo.

Altri lettori, dimentichi che il Vico e il Beccaria non scrivevano meglio, muovono accuse di “bello stile” contro le pagine del Santo.
Sono storie. Uno dei padri redentoristi che curano questa bella e ricca edizione, m’ ha svelato che S. Alfonso ha scritto anche una grammatica italiana! proprio così. La lingua era, allora, quello che era in Italia; e il lettore veramente raffinato e intelligente sa benissimo le differenze di tempi e di luoghi in proposito, e della varietà non si spaventa ma si compiace.
Questo libro del Santo contiene alcune tra le sue pagine più riposate e belle: pagine che fanno un coraggio immenso, accerchiano il cuore e lo riducono a capitolare senza condizioni. E senza ché Alfonso muova un dito per “creare un ambiente”, tuttavia gli viene fatto di darci intera l’aria d’un monastero, e non soltanto l’aria ma l’anima.
(da L’Avvenire d’Italia, 27 aprile 1935 – L’autore si è firmato con lo pseudonimo di Don Petronio).

Il grande studioso Don Giuseppe De Luca leggeva volentieri i libri di S. Alfonso: "Egli è come il maestro elementare, che sa avvicinare tutti alla lettura e alla cultura!"

3. – Un libro di grande fortuna: le Glorie di Maria
S’è fatto un gran discorrere ‑ da qualche cinquantennio ‑ di meridionali, cervelli scervellati, che avrebbero poi fatto fermentare, a distanza di uno e due secoli, il pensiero europeo, ora in questa nazione, ora in quella. Infelici tra noi, ‑ incarcerati, confinati, arsi vivi in una piazza, e tra il troppo ingegno e il troppo dolore tutti un po’ pazzi ‑ avrebbero fatto la felicità degli altri e dei moderni.
L’Italia, come la Chiesa, era stata con loro una specie di contessa Adelaide con Giacomo Leopardi: piccina, gretta, li aveva esiliati; ed era rimasta devota sì, ma scemata di vita e di gloria. Essi avevano fatto grande il pensiero europeo, mentre noi, striminziti e rabbrividiti di freddo, inedia e solitudine, avemmo bisogno, per ripigliare, dell’aiuto di fuori.
Chi s’è rammentato d’un napoletano, avvocato anche lui, ma per poco, e nel resto della sua vita santo? Eppure, tre dei suoi libri, nella storia del sentire cristiano e del pensare cattolico hanno una importanza formidabile: la sua Morale, le sue Visite al SS. Sacramento, le sue Glorie di Maria, sono stati i libri italiani tra i più letti e più obbediti, non soltanto in Europa, ma nel mondo.

La Morale, ha creato una corrente nuova dopo un secolo e mezzo di moralismi a volta esasperati, e questa corrente è stata quella che ha poi adottato la Chiesa. San Tommaso nella Dommatica, S. Alfonso nella Morale.
Le Visite, pur non essendo una trovata del Santo, furono da lui consacrate in librettino classico, che le rese talmente ricevute da tutta la Chiesa, che costituiscono oggi una pratica come il Rosario e gli Esercizi Spirituali.
Le Glorie di Maria è l’ultimo grande libro europeo, scritto in gloria di Maria. Una civiltà che conta le cattedrali di Francia e le più belle chiese d’Italia, i Miracoli della Vergine e la ballata di Villon, l’ultimo canto della Divina Commedia e l’ultima canzone del Petrarca, le Madonne degli artisti più celebrati e il voto di Lucia, questa civiltà non ha prodotto nulla di più grande, dopo le Glorie di Maria di S. Alfonso.
In questo libro tumultano, placate in una bella maniera napoletana, le ac­que più grandi della tradizione: i Papi, la Liturgia monastica, la teologia dei grandi Frati, la devozione popolare degli exempla e poi delle laudi, la pole­mica antiprotestantica e antigiansenista.
Il tutto, unito e tenuto saldo da un’intimità affettiva, da una fantasia calda, da una severità di interiori ragioni della mente e del cuore, da un soffio leggero, e pur così forte, che spinge l’anima verso l’inaccessibile, l’inimmaginabile, l’inabitabile da fantasmi e argomenti terrestri: quasi sopra le soglie dell’estasi.

La prosa di Alfonso de Liguori è tutta una preghiera ruminata, quando non è preghiera esplicita e decisa. O è preghiera, o fa preghiera. E qualche volta, è poesia appena accennata, ma ahimè, presto lasciata cadere. S. Alfonso era talmente uomo del suo secolo, che non seppe resistere, appena gli nasceva un po’ di poesia, dall’ucciderla in versi. E così nella sua opera sono prodigiosamente numerosi i principi di poesia che poi non continua.

Di questi giorni esce in edizione, che vorrebbe essere critica, questo libro non più letto, sopra un tema non più amato.
Non più amato, per grave danno dei cristiani d’oggi, che si dicono tanto più virili, e sono invece tanto meno uomini; sono tanto più rispettosi, essi dicono, del Cristo, e invece sono tanto meno cristiani; hanno terrore di apparire sentimentali, e sacrificano il sentimento non all’intelligenza, ma all’intellettualismo.
L’intelligenza, che è cristiana, è anche mariana.
(da Il Frontespizio, anno X Firenze, aprile 1938), p. 262. – L’autore si è firmato con lo pseudonimo: Matteo Romito).

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Riportato in
Ermelindo Masone e Alfonso Amarante
S.Alfonso de Liguori e la sua opera
Testimonianze bibliografiche
Valsele Tipografica 1987, pp.264-269.