S. Alfonso. Vanità del mondo

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189. S. Alfonso. Vanità del mondo.

Pagine Alfonsiane sulla Misericordia

189. S. Alfonso. Vanità del mondo.

♦ Una volta un antico filosofo di nome Aristippo, mentre faceva una viaggio per mare, la nave naufragò ed egli perse i suoi effetti personali. Ma quando giunse a riva, essendo egli molto noto per la sua scienza, gli abitanti del luogo gli fornirono quanto aveva perduto. In seguito egli, scrivendo agli amici della sua città, li esortò a munirsi solamente quei beni che non si possono perdere neppure con un naufragio.

♦I nostri parenti e amici, che ora vivono nell’eternità, ci mandano a dire la stessa cosa: che in questa vita attendiamo a procurarci soltanto quei beni che non si perdono neppure con la morte.
Il giorno della morte è chiamato giorno di perdizione (Dt 32,35), proprio perché in tal giorno si perdono tutti i beni di questa terra, gli onori, le ricchezze, i piaceri.

♦Per questo sant’Ambrogio scrive che i beni terreni non possiamo chiamarli nostri, perché non possiamo portarli con noi nell’altro mondo, dove ci accompagnano soltanto le virtù. “Che serve dunque, dice Gesù, guadagnare il mondo intero, se poi in morte, perdendo l’anima, perderemo tutto? (cf. Mt 16,26).

Vanità delle vanità (Qo 1,2): così Salomone definì tutti i beni di questo mondo, dopo aver provato ogni piacere della terra, come ammise egli stesso: Non ho negato ai miei occhi nulla di ciò che bramavano (Qo 2,10). E’ una cosa incomprensibile: i santi tremavano pensando all’importanza della salvezza eterna, mentre i peccatori stanno andando verso la perdizione, eppure dormono, scherzano e ridono!”.

(S. Alfonso, Apparecchio alla morte, XIII, 1)
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Gesù, mio Redentore, ti ringrazio che mi fai conoscere la mia stoltezza e il male che ho fatto nel girare le spalle a te, che hai speso il sangue e la vita per me. Mio Salvatore, lo confesso: ho fatto male, ho sbagliato ad abbandonare te, sommo Bene, per i miseri piaceri di questo mondo. Me ne pento con tutto il cuore.